Festa della Repubblica: condividere un orizzonte di principi e di valori

Nelle scorse settimane il presidente Mattarella ha più volte invitato all’unità, che si basa sul rispetto reciproco. La sola strada per partire ed arrivare alla realtà delle attese concrete dei cittadini, valorizzando le risorse e superando quel reticolo di fazioni, interessi, conflitti che ciclicamente ci penalizza. Si può fare, ma dobbiamo darci concretamente da fare. È il senso della festa della Repubblica, una repubblica plurale, che valorizza e coordina le differenze e tutte le soggettività, non teme di riferirsi a valori alti. Tanto più quest’anno, in cui tutto sembra in discussione. E rischia di rimanere uguale, se non peggiore, se non facciamo sentire chiara e forte la nostra voce

(Foto ANSA/SIR)

Ci sono le frecce tricolori. Il Presidente si reca all’Altare della Patria, ma non si tiene la tradizionale parata. E neppure il ricevimento e l’apertura al pubblico dei giardini del Quirinale. È insomma un due giugno compatibile con i tempi sospesi che continuiamo a vivere, punteggiate comunque le nostre strade dei tanti tricolori che abbiamo orgogliosamente sventolato in questi mesi, segno di come abbiamo vissuto con grande senso civico questo passaggio storico. Che giustamente il presidente Mattarella ha voluto sottolineare visitando Codogno.
È la migliore sottolineatura del significato profondo della Festa della Repubblica, la festa di tutti, di una idea di comunità, di una idea di bene comune. Non solo affermato, ma da declinare in concreto. Deve essere il nostro impegno collettivo.

Proprio per questo la Festa della Repubblica 2020 è un momento importante di riflessione. Sulla politica con la maiuscola, sulle nostre istituzioni, ovvero sul tono della nostra vita civile.

Il 2 giugno è una festa particolare: la avevano addirittura soppressa nel 1977, per un malinteso senso di economia, ma soprattutto per un perdurante malessere sull’identità. È stata ripristinata da Carlo Azeglio Ciampi, 24 anni dopo.
Ecco dunque un preciso monito. Questa festa, che è di tutti, non di una “parte”, comporta prendere sul serio quelli che qualche anno fa abbiamo cominciato a definire i “beni comuni”. La festa della Repubblica è, etimologicamente, la festa della cosa pubblica, di quello che è di tutti, non è privatizzabile, né da una fazione politica, né da una proprietà economica, insomma del bene comune. Una precisa indicazione in un tempo in cui le diseguaglianze rischiano di crescere, così come i conflitti.

Prenderla sul serio significa denunciare lo spirito di “privatizzazione” da parte di fazioni, corporazioni, potentati e interessi grandi e piccoli, locali e multi-nazionali, rivendicando gli spazi e le istituzioni di bene pubblico, questi spazi civici, che sono anche, perché le parole non mentono, civili e di civiltà.

È una partita molto complessa, perché comporta rifiutare ogni retorica, operare con grande realismo, ma con un chiaro ed esigente orizzonte di principi e di valori. Che è esattamente il profilo della politica con la maiuscola. Non solo in Italia, perché tutto è oggi necessariamente connesso.
Nelle scorse settimane il presidente Mattarella ha più volte invitato all’unità, che si basa sul rispetto reciproco. La sola strada per partire ed arrivare alla realtà delle attese concrete dei cittadini, valorizzando le risorse e superando quel reticolo di fazioni, interessi, conflitti che ciclicamente ci penalizza. Si può fare, ma dobbiamo darci concretamente da fare. È il senso della festa della Repubblica, una repubblica plurale, che valorizza e coordina le differenze e tutte le soggettività, non teme di riferirsi a valori alti. Tanto più quest’anno, in cui tutto sembra in discussione. E rischia di rimanere uguale, se non peggiore, se non facciamo sentire chiara e forte la nostra voce.

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