Regole, deroghe e “particulare”

Da qualche giorno siamo alle prove con la Fase2. Ci siamo arrivati lentamente, quanto ai due mesi d'attesa, e affannosamente, date le discussioni che l'hanno preceduta per il difficile accordo tra esigenze di sicurezza ed esigenze lavorative, evidenziato dal braccio di ferro tra governo centrale e presidenti di regione. Ciascuno aveva le proprie le ragioni: guidate dalla prudenza degli uomini di scienza o spinte da un mondo imprenditoriale che o riprende o muore. Ragioni vere e poco conciliabili.

(Foto ANSA/SIR)

Da qualche giorno siamo alle prove con la Fase2. Ci siamo arrivati lentamente, quanto ai due mesi d’attesa, e affannosamente, date le discussioni che l’hanno preceduta per il difficile accordo tra esigenze di sicurezza ed esigenze lavorative, evidenziato dal braccio di ferro tra governo centrale e presidenti di regione. Ciascuno aveva le proprie le ragioni: guidate dalla prudenza degli uomini di scienza o spinte da un mondo imprenditoriale che o riprende o muore. Ragioni vere e poco conciliabili.
Per certo quel “particulare” di guicciardiana memoria si è dimostrato tutt’altro che obsoleto: ha intessuto discorsi e acceso polemiche, rendendo difficile tracciare una linea comune capace di farsi l’ossatura condivisa del ritorno alla vita attiva e lavorativa. Perché la Repubblica si fonda sul lavoro come ogni famiglia, ogni persona, fonda la propria esistenza su risorse che attraverso il lavoro si procura.
Il busillis stava, e sta, tutto nell’impossibilità del “come prima”: primo perché il Covid19 adesso c’è e ci sarà a lungo; secondo perché dalla riapertura del 18 maggio la nostra salute è tutta nelle nostre mani, figlia dei nostri comportamenti.
Per far rientrare l’Italia al lavoro si è resa necessaria un’intricata selva di decisioni riguardanti le più disparate situazioni. Tra le questioni più complicate quelle legate a turismo, trasporti, ristorazione, servizi alla persona; attività che la pandemia ha congelato e per le quali il rientro si dimostra altamente problematico, dato che ciò che ha a che fare col pubblico espone chi lo fa, e chi ne usufruisce, a rischi.
Quanto al “particulare” ha riguardato questioni che alcune regioni hanno sentito, per posizione geografica o vocazione, non rinviabili. Una è quella delle spiagge che significano anche ospitalità dall’alba a dopo il tramonto. Apparteniamo anche noi a queste regioni, come Friuli Venezia Giulia e Veneto. Tanti dei nostri ragazzi cominciano il loro percorso di crescita sperimentando lavori estivi. Tante famiglie possono vivere meglio e mantenere i figli anche grazie ai lavori stagionali delle donne. La sentiamo tutta la preoccupazione di una parte della nostra gente: sia di chi vuole lavorare che di chi un lavoro può darlo. Ma allo stesso tempo, e in direzione opposta, altre regioni – vedi la Campania – hanno sentito più forte il bisogno di preservarsi dai contagi possibili nel caso di visite e soggiorni di turisti dal nord. Tanto è vero che il governo ha mantenuto fino al 3 giugno il divieto di uscire dalla regione di residenza (salvo che per motivi di lavoro o salute).
Sono state richieste “particulari” ma non egoistiche, se dietro ad esse vediamo lavoratori, famiglie e persone: non dobbiamo dimenticare che in questi mesi c’è chi ha potuto lavorare e chi no. Per questo la decisione di ripartire si è fatta difficile fino allo scontro: come in un’automobile in cui si pigiano contemporaneamente il freno (per il timore della ripresa del contagio) e l’acceleratore (per i bisogni dell’economia e della tenuta sociale). Comunque, sia pur dopo non sempre memorabili exploit, si è giunti alla quadratura del cerchio. Così, tra chi invocava più potere decisionale alle regioni e chi sosteneva che l’emergenza richiedesse una linea comune nazionale, si è trovata la salomonica via di mezzo nel lasciare spazio di manovra alle regioni, purché i protocolli assunti siano “nel rispetto delle linee guida nazionali” (una prima stesura citava “a condizione” del rispetto delle stesse). E se anche non è tornata la bonaccia, e si minacciano manifestazioni di piazza il 2 giugno, siamo ripartiti.
Aveva ragione il citato politico e letterato del Rinascimento, Guicciardini, esperto di un’Italia divisa e in lotta, quando affermava che in simili condizioni, e assecondando la natura mutevole del mondo, più che di leggi universali il politico ha bisogno di saper leggere il momento e con “discrezione” – oggi la diremmo avvedutezza – salvare il proprio “particulare”. Termine però che non identifica il tornaconto personale, quanto l’interesse dello stato che si governa e, aggiungiamo noi oggi, dei cittadini. Perché se così non fosse – ora come allora – quel “particulare” non sarebbe altro che opportunismo.

(*) direttore “Il Popolo” (Pordenone)

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