Rispetto necessario per i malati e per i morti

Ci sono persone che muoiono senza l’affetto e il cordoglio della loro famiglia, senza un funerale, senza saperlo. Persone che hanno chiuso l’attività lavorativa e non potranno più riaprirla. Persone sole in casa che si sentono abbandonate. E poi ci sono persone che escono sul balcone e si mettono a cantare. Sono tante le facce di questa realtà trasformata dal Coronavirus.

foto SIR/Marco Calvarese

Ci sono persone che muoiono senza l’affetto e il cordoglio della loro famiglia, senza un funerale, senza saperlo. Persone che hanno chiuso l’attività lavorativa e non potranno più riaprirla. Persone sole in casa che si sentono abbandonate. E poi ci sono persone che escono sul balcone e si mettono a cantare. Sono tante le facce di questa realtà trasformata dal Coronavirus. Per carità, ognuno ha il diritto di reagire come meglio crede. Non giudico chi cerca di instaurare un rapporto a distanza, con il suo vicino o il suo dirimpettaio, da ballatoio a ballatoio, per tirarsi su il morale: “canta che ti passa”, passerà. Il tricolore, l’inno di Mameli, gli applausi ai medici: c’è chi ritrova così l’orgoglio nazionale. Ma a me non viene proprio voglia di andare sul terrazzo e di mettermi a eseguire uno stornello. Sarà che i balconi nella nostra storia recente evocano antichi spettri, sarà che ce l’abbiamo nel DNA il vezzo, ogni tanto, quando la situazione svolta, di aprire la finestra e… alé, di metterci a gridare dal balcone! Pensieri di ringhiera, flash mob e proclami politici che si confondono, serenate e panni stesi, sotto il balcone Cyrano o Romeo, poco importa, gerani nei vasi e orti da appartamento. Ci siamo noi, tutti, l’Italia, a volte fiera, a volte Italietta da balconcino, perché da qualche parte deve pur stare e trovare sfogo un Paese chiuso in casa.
Allora sono uscito anch’io sul terrazzo ma per udire, più da vicino, il suono delle campane della mia chiesa. Diciamo che ho spalancato la portafinestra per fare entrare quei rintocchi dentro le camere e l’ho richiusa al volo, furtivo, per imprigionarli qui dentro; per non farli scappare. Ho capito, dopo, perché l’ho fatto.
Per ascoltare in tutti i modi la voce di Dio, per bisogno di ascoltarla. Che sia una campana, la recita del Rosario, il filmato di una Messa in streaming, oggi quella voce “deve essere” ancora più forte e possente di prima. Prima non è che non parlasse più, solo che noi l’avevamo dimenticata o facevamo finta di non sentirla.
Adesso non possiamo farne a meno. Qualcuno, davanti a tanti lutti e a tanto dolore, arriva a fare pensieri blasfemi, a ipotizzare che Dio ci stia castigando: è il rischio che corrono gli uomini di fede. Ma Dio è sempre il bene assoluto e, fattosi uomo, ha vissuto, come noi, la sofferenza, fino alla croce. Il bene, il suo amore, li manifesta soffrendo al nostro fianco.
Nelle pause di scoramento ce lo scordiamo, ma lui ce lo ricorda in continuazione attraverso la sua Parola.
Conoscete il racconto dell’anonimo brasiliano?
Quando le orme sulla sabbia non erano più quattro ma due, in quel momento il Signore non ci aveva abbandonati, ma ci stava portando in braccio. La sua voce non smette di arrivarci, purché siamo predisposti ad aprire le orecchie.
Detto questo, il nostro giornale continuerà ad avere un grande rispetto per i morti perché non si pensi che morire di Covid-19 oggi sia come sparire: nessuno scompare, tutti continuano a vivere nella memoria e nella preghiera. E continueremo ad avere molto riguardo anche per i malati, tutelando la loro sfera privata, la loro storia personale, perché nessuno possa pensare che il giornale sia un balcone dal quale dare spettacolo per un semplice applauso.

(*) direttore de “Il Popolo” (Tortona)

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