
Dopo Washington, lo scettro di capitale mondiale del lobbying spetta a Bruxelles. Negli ultimi anni si sono versati fiumi d’inchiostro – anche digitale – per analizzare l’universo dei cosiddetti “portatori di interesse” (in inglese, stakeholders) che orbitano attorno alle istituzioni europee. Scoprire chi sono, cosa fanno e, soprattutto, quali cifre sono in ballo non è cosa da poco, ma la disponibilità di open data e una decisa virata in termini di trasparenza da parte dei “palazzi” ha reso il compito un po’ meno arduo rispetto al passato. Rue Belliard, rue Montoyer, rue de la Loi e il rond-point Schuman sono solo alcune delle arterie stradali che convergono in direzione del quartiere delle istituzioni di Bruxelles, centro nevralgico della politica comunitaria con Parlamento, Commissione e Consiglio a pochi passi di distanza l’uno dall’altro.

(S. Matteis/SIR)
Dialogo aperto, trasparente e regolare. Una realtà complessa e articolata quella delle lobby. Da un lato, l’obiettivo di influenzare (più o meno profondamente) le decisioni politiche dell’Unione europea, operando attraverso una partecipazione capillare a ogni fase del processo legislativo, dalla stesura delle proposte fino alla loro approvazione finale. Dall’altro, l’impegno delle istituzioni per mantenere un delicato equilibrio che ne garantisca la credibilità a tutela della trasparenza e della democrazia, secondo quanto stabilito con l’articolo 11 del Trattato sull’Ue: “Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile”.
Ingenti spese di “rappresentanza”. Nel 2024 il fenomeno del lobbying è cresciuto fino a raggiungere dimensioni senza precedenti, con gruppi di interesse che investono ingenti risorse economiche e umane per orientare le politiche comunitarie nei settori più strategici dell’economia e della società. I dati raccolti da Corporate Europe Observatory, LobbyControl, Integrity Watch Eu, oltre al Registro per la trasparenza dell’Ue, stimano negli scorsi 12 mesi oltre 12.500 organizzazioni attive nel lobbying presso le istituzioni europee, tra cui 3.500 Ong, 3.000 imprese e 2.600 associazioni di categoria, per un totale di quasi 30.000 lobbisti impiegati quotidianamente a Bruxelles. Quanto al giro d’affari complessivo, la spesa per le attività di permanenza e rappresentanza nella capitale belga supera 1,8 miliardi di euro l’anno: una cifra enorme, che testimonia la centralità del lobbying nel funzionamento stesso delle istituzioni europee. Nell’ultimo anno si stima inoltre che le 162 lobby più grandi abbiano speso complessivamente 343 milioni di euro per le loro attività presso legislatori e funzionari europei, con un aumento del 13% rispetto al 2023.
Presenza e visibilità nel Quartiere europeo. Dalle parti del Berlaymont (sede della Commissione) e degli altri edifici del Quartiere europeo, non è raro incontrare – per strada o lungo i corridoi dei palazzi – i rappresentanti delle varie organizzazioni indaffarati nelle loro mansioni da lobbisti. Organizzano meeting, incontrano persone, parlano con eurodeputati e membri della Commissione: semplicemente, essere presenti in questo piccolo crogiuolo di strade e grattacieli equivale a “esistere”, agli occhi delle istituzioni e dell’intero sistema-Ue. Multinazionali, grandi industrie, organizzazioni non governative e think tank: dai più grandi ai più piccoli, tutti sgomitano per avere un ufficio a Bruxelles.

(Photo European Commission)
Chimica, banche, energia, digitale… I settori che dominano la scena del lobbying in Europa vanno dalla tecnologia alla chimica, dalla farmaceutica al bancario e ancora dall’energia all’industria della difesa. A guidare la classifica di chi spende di più ci sono le Big Tech come Meta (9 milioni all’anno) e Microsoft (7), seguite a ruota da Apple (6,5) e Google (6): troppo importante essere presenti dove vengono discusse normative cruciali come quelle sulla privacy, l’utilizzo dei dati e le regolamentazioni delle piattaforme digitali. Ma è nel settore chimico che troviamo il player che investe di più in assoluto: con una spesa che oscilla tra i 10 e i 12 milioni annui, il record spetta al Consiglio europeo delle industrie chimiche che rappresenta circa 30.000 aziende chimiche europee nella sua intensa attività di lobbying su temi legati alla transizione ecologica, alle normative ambientali e climatiche e alla regolamentazione industriale europea.
Interessi particolari e bene comune. Dal rapporto di Agir pour l’Environnement emerge come i maggiori gruppi di pressione investano, in media, quasi quattro volte lo stipendio lordo di un eurodeputato per influenzarne il voto, determinando un elemento di forte disparità rispetto alle capacità di rappresentanza di Ong, associazioni di cittadini e altri attori della società civile e alimentando, di conseguenza, il rischio che le decisioni politiche finiscano per essere segnate maggiormente dagli interessi economici anziché indirizzate al bene comune. Dinamiche e logiche che finiscono per innescare, inevitabilmente, dubbi sulla reale democraticità del processo decisionale europeo e che hanno reso necessario l’aggiornamento dei criteri di trasparenza a partire dal già citato Registro. In questo elenco sono segnate tutte organizzazioni che svolgono attività di lobbying, suddivise per interessi rappresentati, il budget dedicato, il numero di lobbisti impegnati e i temi su cui viene esercitata pressione. Gestito congiuntamente da Parlamento, Commissione e Consiglio, questo strumento fino a pochi anni fa funzionava soltanto su base volontaria, lasciando di conseguenza molte lacune.

(Foto Calvarese/SIR)
Evitare zone d’ombra e corruzione. Nel 2024 la svolta: su richiesta di alcune associazioni, tra cui Transparency International Eu e The Good Lobby, è stato introdotto l’obbligo per oltre 1.500 funzionari delle istituzioni a pubblicare un’agenda dettagliata di tutti gli incontri con i lobbisti, a loro volta tenuti a iscriversi al Registro per poter accedere ai palazzi, prendere parte a eventi ufficiali o essere ascoltati nelle audizioni pubbliche. Un primo passo verso la trasparenza totale, ma i margini per evitare zone d’ombra e potenziali casi di corruzione sono ancora ampi. Del resto, negli ultimi anni non sono mancate situazioni controverse riguardo proprio il rapporto tra lobbisti e istituzioni, come testimonia il “divieto d’accesso” imposto ad Amazon nel febbraio 2024 o lo scandalo di corruzione e riciclaggio noto con il nome di Qatargate che nel dicembre 2022 travolse il Parlamento, arrivando al più recente caso – attualmente in mano alla Procura del Belgio – che ha visto coinvolto il colosso cinese del tech Huawei.
Scheda/1
La presenza delle organizzazioni religiose
L’attività di lobbying è connaturata al funzionamento stesso delle istituzioni europee: il lavoro del lobbista gli richiede di entrare in contatto con commissari ed eurodeputati, manifestando motivazioni e pareri per emendare una determinata norma. A loro volta, per i membri delle istituzioni questo tipo di confronto è fondamentale per conoscere il punto di vista della società civile e capire in che modo le direttive andranno a incidere sulla vita dei cittadini.
Un aspetto meno noto, ma altrettanto rilevante del panorama delle lobby europee, è rappresentato dalle organizzazioni religiose. Questi gruppi, pur avendo generalmente risorse economiche più limitate rispetto ai giganti industriali, provano ad esercitare un’influenza soprattutto su temi etici, sociali e culturali. Tra le principali realtà presenti a Bruxelles spicca la Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), che rappresenta i vescovi cattolici degli Stati membri e svolge un ruolo di dialogo istituzionale su questioni quali la bioetica, la famiglia, l’educazione religiosa, la libertà di culto, i diritti sociali, le migrazioni, l’ambiente. La Comece, presieduta da mons. Mariano Crociata, e che può contare su un Segretariato con sede a Bruxelles a due passi dall’Europarlamento, opera a stretto contatto con le Conferenze episcopali d’Europa, costituendo una voce autorevole della Chiesa cattolica presso le istituzioni Ue. Nella capitale dell’Europa unita anche il dialogo interreligioso riveste un ruolo determinante, come testimonia la presenza di tante associazioni espressione di altrettante comunità, da quella islamica a quella ebraica, passando per buddisti, sikh e indù. Il Parlamento europeo ha poi istituito intergruppi e strutture di dialogo per favorire il confronto con le organizzazioni religiose e filosofiche non confessionali, in ottemperanza all’articolo 17 del Trattato sul funzionamento dell’Ue. Questi spazi di dialogo sono fondamentali per garantire il pluralismo e il rispetto della libertà religiosa, ma negli anni non sono mancati dibatti anche attorno alla possibile interferenza degli interessi religiosi sulle decisioni politiche.
Scheda/2
Nuove regole sulla trasparenza
Con il 2025 arrivato quasi al giro di boa, avere un quadro definito delle logiche che regolano il sistema delle lobby risulta fondamentale – per cittadini, istituzioni e per gli stessi stakeholders – per riuscire a convogliare interessi economici, sociali, culturali ma anche etici e valoriali sempre più verso quelli della collettività in un momento così delicato come quello che l’Europa e il mondo intero stanno attraversando. Le nuove regole sulla trasparenza rappresentano un passo avanti importante, ma la sfida rimane quella di garantire un equilibrio tra la legittima rappresentanza degli interessi e la tutela della democrazia, valore fondativo dell’Unione europea, onde evitare che il potere economico o ideologico possano prevalere sul bene comune.