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Meloni e Von der Leyen a Lampedusa. Ma non ci sono esseri umani “illegali”

La presidente del Consiglio e la presidente della Commissione europea sono state domenica 17 settembre sull'isola pressata dai flussi migratori. Un omaggio alla solidarietà dei lampedusani, poi una conferenza stampa dove hanno dominato gli aspetti securitari, il "controllo delle frontiere" e il refrain delle migrazioni "illegali"

Meloni e Von der Leyen a Lampedusa (Foto Commissione Ue)

La visita della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, assieme alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, di domenica 17 settembre a Lampedusa, non può essere letta, come più di una parte politica ha fatto, in chiave elettorale. Non si tratta di stabilire se il governo italiano, e i partiti che lo sostengono, meritano più o meno voti a seconda di come affrontano le migrazioni. Si tratta di porsi dinanzi, con responsabilità ed efficacia, a un fenomeno migratorio “globale”, che ha origini remote per poi giungere sino alle porte dell’Italia e dell’Europa. Un fenomeno che vede protagonisti loro malgrado esseri umani in fuga da conflitti, fame, cambiamenti climatici, vecchi e nuovi colonialismi di cui i Paesi ricchi si sono resi e si rendono tuttora protagonisti. Questo è il volto delle migrazioni forzate odierne, di fronte alle quali parlare di “illegalità” suona quanto meno riduttivo.
Quello che c’è di illegale è certamente la tratta di esseri umani, che approfitta della tragica situazione per estorcere migliaia di euro per un “passaggio” su un barchino che non si sa se arriverà dalla Tunisia o dalla Libia fino alle coste italiane. Di illegale ci sono i campi di concentramento realizzati nei Paesi dell’Africa settentrionale, nella quale sono reclusi (e spesso trattati in maniera disumana) decine di migliaia di minori, donne e uomini provenienti – anzi in fuga – dai Paesi dell’Africa interna…
A ciò si aggiunga l’incapacità dei Paesi europei, e dei loro governi, di trovare un accordo che assicuri accoglienza a chi arriva, nel quadro della sicurezza di chi accoglie. La mancata riforma dell’Accordo di Dublino, i muri e i fili spinati eretti da diversi Paesi Ue, le lungaggini per approvare e rendere operativo il nuovo “Patto per la migrazione e l’asilo” mostrano la mancanza di volontà di dare una vera, solidale e lungimirante risposta alle pressioni migratorie. Considerando – e questo lo sanno tutti, o dovrebbero saperlo – che la vecchia Europa, che rischia di ridursi a una gigantesca casa di riposo per anziani, di giovani migranti ha assoluta necessità.
Sui migranti gli Stati europei procedono a ranghi sparsi e con regole ed esiti diversi, nella linea di due pesi e due misure. E anche di più. La giusta e doverosa accoglienza di milioni di ucraini precipitatisi nell’Europa comunitaria a causa della guerra lo sta dimostrare. Forse un ragazzino o una donna del Gambia, della Nigeria o della Siria sono esseri umani differenti dagli ucraini?
Qui si gioca la partita migratoria.

Ha fatto bene, dunque, la premier Meloni a invitare la presidente Von der Leyen a Lampedusa. Un gesto di vicinanza ai lampedusani, la cui vita è oggettivamente segnata dagli arrivi di barche cariche di disperati. Un gesto di umanità verso gli stessi migranti approdati in qualche modo sull’isoletta mediterranea. Nonché un rinnovato segnale sulla emergenza migratoria – lanciato da quasi una decina d’anni da tutti i governi italiani – che non può essere sottovalutata sul piano umanitario, sociale, istituzionale.Resta sullo sfondo il tono, legato alla sicurezza sociale, impresso dalla premier alla stessa visita a Lampedusa. “Voglio dire che io non considero questo tanto un gesto di solidarietà dell’Europa verso l’Italia, lo considero piuttosto un gesto di responsabilità dell’Europa verso se stessa, perché questi sono i confini dell’Italia ma sono anche i confini d’Europa”, ha affermato in conferenza stampa Giorgia Meloni. “Noi siamo di fronte a una portata tale, in tema di flussi migratori, che se non lavoriamo seriamente e tutti insieme sul contrasto delle partenze illegali, i numeri di questo fenomeno travolgeranno prima gli Stati di frontiera, poi tutti gli altri. […] Qui è in gioco il futuro che l’Europa vuole darsi, perché il futuro dell’Europa dipende dalla capacità che l’Europa ha di affrontare le grandi sfide epocali del nostro tempo e quella dell’immigrazione illegale è sicuramente una di queste”. Meloni ha ribadito: “io continuo a dire che di fronte ai flussi che l’Italia sta affrontando, che l’Europa affronta, noi non risolveremo mai il problema parlando di come redistribuire i migranti all’interno dei confini europei. L’unico modo per affrontare seriamente il problema, e per non far sì che la soluzione per una Nazione voglia dire creare un problema a un’altra Nazione, è lavorare sulla dimensione esterna: fermare le partenze illegali degli immigrati”.
Sulla stessa linea Ursula von der Leyen: “l’immigrazione irregolare è una sfida europea e necessita di una risposta europea”. Dopo aver reso omaggio alla solidarietà dei lampedusani e aver ringrazio chi opera sul molo dell’isola, ha affermato che i migranti “vengono attirati da spietati contrabbandieri e trafficanti. E molti arrivano qui a Lampedusa semplicemente per la sua posizione. Ciò mette Lampedusa sotto pressione, creando una situazione molto difficile per la sua popolazione. […] Saremo noi a decidere chi arriverà nell’Unione europea e in quali circostanze, e non i contrabbandieri e i trafficanti”. La presidente della Commissione ha poi esposto il suo “piano in 10 punti” per affrontare il fenomeno. Nulla di nuovo, per la verità: ruolo di Frontex, controllo delle frontiere, collaborazione con la Tunisia, rimpatri dei “migranti irregolari”, “aumentare le campagne di sensibilizzazione e comunicazione per disincentivare le traversate del Mediterraneo, continuando a lavorare per offrire alternative – questa, almeno, una promessa positiva e lungimirante – come l’ammissione umanitaria e percorsi legali”.
C’è molto da fare, hanno convenuto Meloni e Von der Leyen. C’è molto da fare e la politica, italiana ed europea, deve dare risposte concrete, nel rispetto della dignità di ogni vita umana. Anche quella di chi emigra.

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