Dall’aborto al suicidio assistito in Gran Bretagna. Mons. Sherrington (Westminster): “Bisogna cambiare la mente e il cuore delle persone”

Il rischio di perdere rischio la libertà di pregare negli spazi pubblici e anche di esprimere la propria opinione; il grande lavoro svolto dalla Chiesa per evitare alle donne di subire il dramma dell'aborto consentito, nel Regno Unito, fino a ventiquattro settimane di vita del feto; il sostegno alla coalizione che, seppur composta in maggioranza da laici, intende modificare la legislazione attuale per impedire l’interruzione della gravidanza di feti disabili fino al momento della nascita; la battaglia condotta per scongiurare l’introduzione nell'ordinamento del suicidio assistito. Temi “prolife”, di grande attualità in Gran Bretagna ed estremamente a cuore dei vescovi inglesi, di cui cui abbiamo parlato con il vescovo John Sherrington, ausiliario di Westminster, e responsabile del settore vita per la conferenza episcopale di Inghilterra e Galles

Il rischio di perdere rischio la libertà di pregare negli spazi pubblici e anche di esprimere la propria opinione; il grande lavoro svolto dalla Chiesa per evitare alle donne di subire il dramma dell’aborto consentito, nel Regno Unito, fino a ventiquattro settimane di vita del feto; il sostegno alla coalizione che, seppur composta in maggioranza da laici, intende modificare la legislazione attuale per impedire l’interruzione della gravidanza di feti disabili fino al momento della nascita; la battaglia condotta per scongiurare l’introduzione nell’ordinamento del suicidio assistito. Il vescovo John Sherrington, ausiliario di Westminster e responsabile del settore vita per la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, ha parlato con il Sir di tutti questi temi “prolife” che stanno a cuore, oggi, ai vescovi inglesi.

Eccellenza, in Gran Bretagna sta per essere approvato l’articolo 9 della legislazione sulla sicurezza pubblica che introduce le cosiddette “buffer zones”. Zone di 150 metri, nei pressi delle cliniche dove viene praticato l’aborto, nelle quali verrà impedito agli attivisti del movimento della vita di avvicinare le donne per un consiglio o un aiuto. Quanto è a rischio la libertà sia di pregare in pubblico che di esprimere la propria opinione?
Anzitutto vorrei dire che sono contrario a qualsiasi forma di molestia inflitta alle donne che hanno deciso di abortire ma sono convinto che la legislazione attuale già le protegga in tal senso. Mi preoccupa il linguaggio con cui si esprime l’articolo 9 della legge. La nuova misura – che ora dovrà passare al vaglio della Camera dei Lord – rende illegale, all’interno di ogni zona cuscinetto, interferire “con la decisione di qualsiasi persona di accedere, fornire o facilitare la fornitura di servizi per l’aborto”, parla cioè di “qualunque cosa che interferisca con l’accesso di una donna all’aborto”. In pratica diventa illegale mettere in atto “qualunque cosa interferisca con l’accesso di una donna all’aborto”. Il rischio reale quindi è che la preghiera in pubblico così come la possibilità, per gli attivisti del movimento della vita di esprimere la loro opinione in modo pacifico, possano diventare un crimine a tutti gli effetti. Inoltre, per le donne che decidono di cambiare idea, potrebbe non essere più disponibile l’aiuto offerto loro dalle charities “prolife”,  sostenute dalla Chiesa, fino ad oggi praticato senza problemi.

Il Regno Unito ha una delle legislazioni più liberali in materia di aborto che dà alle donne la possibilità di terminare la gravidanza fino a 24 settimane di vita del feto e fino alla nascita nel caso di disabilità. Esiste una possibilità che venga cambiata?
L’opinione pubblica britannica è a favore dell’aborto e il rischio, in questo momento, è che la legge diventi ancor più permissiva consentendo, ad esempio, l’interruzione di gravidanza con il parere favorevole di un solo medico anziché due. Noi cattolici, che la opponiamo, siamo una minoranza, anche se siamo sostenuti da alcuni parlamentari e da alcuni Lords. Dove, invece, esiste un’ampia coalizione, di cui fanno parte anche numerosi atei, è sul principio di impedire l’aborto di feti disabili fino al momento della nascita. Ci sono stati diversi ricorsi, inoltrati presso alcuni tribunali britannici, di varie istanze, affinché questa parte della legge venga cambiata. Qui la contraddizione è cosi evidente perché i portatori di handicap vengono rispettati profondamente nel Regno Unito e si fa di tutto per salvare feti molto prematuri.

Che cosa fa la Chiesa per combattere l’aborto?
Bisogna cambiare la mente e il cuore delle persone. Molti giovani, oggi, sono contrari all’aborto. Sosteniamo anche tante charities, alcune delle quali, come la “Rachel’s Vineyard” ad esempio, aiutano le donne a fare i conti con il trauma dell’aborto.

Quali altri temi preoccupano la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles?
Nel 2015 c’è stato un tentativo di introdurre nell’ordinamento il suicidio assistito attraverso la cosiddetta “legge Marris”. Una legge che non ha portato a nulla, riproposta negli anni anche da altri parlamentari e che si è provato a far passare puntando sul fatto che il provvedimento avrebbe contribuito a fermare i viaggi di cittadini britannici in Svizzera. La commissione parlamentare per la sanità di Westminster ha aperto un’inchiesta su questo argomento e, con il sostegno degli altri vescovi, dei medici cattolici britannici e di altre charities abbiamo sottoposto al governo il nostro punto di vista. In questo momento, in parlamento, non esiste la volontà politica di aprire al suicidio assistito. Ciò che mi preoccupa però, è il tipo di valutazione che verrà fatta delle informazioni pervenute alla commissione, perché la nostra società valorizza e promuove l’idea di una scelta individuale, assolutamente libera, che inevitabilmente, favorisce l’aborto e il suicidio assistito.

 

Altri articoli in Europa

Europa