Banche del cibo e “warm spaces”: nel Regno Unito si affaccia la povertà

Suor Silvana Dallanegra, dell’ordine del Sacro Cuore, è responsabile per lo sviluppo e l’assistenza finanziaria per la Caritas della diocesi cattolica di Westminster. Al Sir racconta quanto avviene sull’isola della Brexit, dove si affaccia una crisi sociale e le famiglie faticano a tirare avanti. Mentre la politica non riesce a formulare risposte efficaci

Suor Silvana Dallanegra con alcune colleghe e volontarie Caritas (Foto SIR)

Scuole costrette ad avviare banche del cibo per garantire pasti nutrienti ad alunni e genitori, mentre l’unico loro compito dovrebbe essere l’istruzione degli alunni; volontari e dipendenti Caritas impegnati ad aiutare le famiglie che fanno fatica a pagare le bollette salite alle stelle, mentre loro stessi hanno lo stesso problema; famiglie che non hanno ancora acceso il riscaldamento anche se fa molto freddo; persone che, fino a qualche mese fa, riuscivano a stare a galla e oggi rischiano la povertà. È molto triste il quadro tracciato da suor Silvana Dallanegra, 59 anni, dell’ordine del Sacro Cuore, responsabile per lo sviluppo e l’assistenza finanziaria per la Caritas della diocesi cattolica di Westminster. “Un’organizzazione che è nata nel 2010 – spiega – quando Papa Benedetto XVI è venuto in visita nel Regno Unito e ci ha incoraggiato a diffondere la Caritas dove non esisteva come in questa diocesi”. Del resto “io la conoscevo bene perché i miei genitori erano immigrati italiani. Dodici anni fa abbiamo così assorbito alcuni servizi che esistevano già, come la consulenza per i debiti ai più poveri e il centro di istruzione per chi ha difficoltà di apprendimento”. Insomma, l’indigenza rischia di diffondersi nel Paese della Brexit, mentre la politica nazionale non decolla e i governi traballano.

(Foto SIR)

Qual è il suo ruolo?
Sostenere parrocchie e scuole, mentre cercano di diffondere la dottrina sociale della Chiesa, costruendo una società dove tutti possano vivere una vita dignitosa e degna di essere vissuta nella quale l’appartenenza a una comunità è un fattore chiave. E anche aiutarle dal punto di vista finanziario.

È molto grave la crisi del costo della vita che la Gran Bretagna sta attraversando?
Non ci sono dubbi. Abbiamo fatto molto, durante la pandemia, per aiutare chi aveva perso il posto di lavoro o era stato messo in cassa integrazione, ma non avremmo mai immaginato che, due anni e mezzo dopo, la situazione sarebbe peggiorata anziché migliorare. Nel 2020, attraverso scuole e parrocchie, abbiamo diffuso buoni per fare la spesa al supermercato per un valore di 280mila sterline, quasi 324mila euro. Speravamo che questo programma sarebbe, poi, diventato superfluo, ma, invece, il numero di chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese si è gonfiato. Quindi distribuiamo, ancora oggi, questi voucher. Soltanto sei mesi fa nessuno parlava di “warm spaces”, “spazi caldi”, luoghi dove, chi ne ha bisogno, può trovare un po’ di caldo, del cibo e qualcuno con cui chiacchierare, mentre oggi sono molto diffusi. Mi ricordo che lo scorso marzo, quando l’ansia sul costo delle bollette ha cominciato a diffondersi, abbiamo organizzato delle sessioni online per formare chi lavorava con i più poveri e mi sono accorta che quei nuovi costi colpivano non soltanto chi non arrivava alla fine del mese ma anche chi si trovava nella posizione di aiutarli. A novembre organizziamo, a Londra, una “Cost of living conference”, un convegno pensato per presidi, insegnanti, genitori, sacerdoti e volontari che offrirà momenti di formazione su come fare domanda per finanziamenti per famiglie e comunità povere, come individuare e denunciare gli usurai, come diventare consulenti in materia di debiti. E, ancora, come ottimizzare l’uso di gas ed elettricità, come avviare cooperative di credito e la possibilità per i partecipanti di scambiarsi le loro esperienze. È un incontro che non avremmo mai organizzato se non fosse per la crisi del costo della vita.

Com’è cambiato il suo lavoro nel corso degli anni?
La mia missione è sempre la stessa, ma non avrei mai immaginato, cinque anni e mezzo fa, quando ho cominciato a lavorare per la Caritas di dover aiutare scuole elementari e secondarie ad avviare banche del cibo. È un compito più complicato di quello di fare formazione sulla dottrina sociale Cattolica, come ho sempre fatto.

In che modo aiutate scuole e parrocchie?
Ci contattano per avere informazioni. Abbiamo anche un programma per le parrocchie che si chiama “Love in action”, “Amore in azione” e un secondo, per le scuole, intitolato “Caritas Ambassadors”, “Ambasciatori per la Caritas”. Diffondiamo la Dottrina sociale cattolica della Chiesa, mentre gli alunni, una volta assorbito il messaggio della Chiesa, guardano alla zona nella quale abitano per vedere dove vi sono dei bisogni e trovare dei modi per risolverli. Abbiamo poi avviato un programma che si chiama “Firm Foundations”, “Fondamenta sicure”, che prepara alcune persone che diventano campioni finanziari e che sono, di conseguenza, un punto di riferimento per parrocchie, scuole e progetti di comunità quando hanno bisogno di aiuto per fare bilanci o avviare unioni di credito. Abbiamo anche inaugurato una casa che ospita donne vittime della tratta.

Altri articoli in Europa

Europa