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Novaya Gazeta sospende le pubblicazioni. Martynov (vice direttore): “Il Cremlino non può permettersi di avere un’informazione indipendente”

Kirill Martynov è il vice direttore del quotidiano Novaya Gazeta, la più longeva testata indipendente redatta da giornalisti russi nel territorio della Federazione. Dopo tanti anni di battaglie e sei redattori uccisi, il 28 marzo scorso la redazione ha deciso di sospendere “fino alla fine dell'operazione speciale sul territorio dell'Ucraina” le pubblicazioni cartacee e on line, a causa delle pressioni ricevute dal Roskomnadzor, l’ente russo di vigilanza sulle comunicazioni

(Foto ANSA/SIR)

Tra i tanti che hanno lasciato la Russia a causa del clima repressivo generato dal regime di Putin c’è anche Kirill Martynov, il vice direttore del quotidiano Novaya Gazeta, la più longeva testata indipendente redatta da giornalisti russi nel territorio della Federazione. Dopo tanti anni di battaglie e sei redattori uccisi, il 28 marzo scorso la redazione ha deciso di sospendere “fino alla fine dell’operazione speciale sul territorio dell’Ucraina” le pubblicazioni cartacee e on line, a causa delle pressioni ricevute dal Roskomnadzor, l’ente russo di vigilanza sulle comunicazioni. Il 1° aprile la redazione e i corrispondenti, un’ottantina in tutto, hanno celebrato il 29° compleanno di questo baluardo della libertà di pensiero e di espressione. Tra chi ha (tristemente) brindato a distanza, anche Martynov, che si è rifugiato in Europa per poter cercare, da uomo libero, nuove strade da percorrere ma anche per garantire futuro alla sua testata e alla Libera Università di Mosca, che il giornalista 41enne, con un passato da docente di filosofia, ha contribuito a fondare. Tra le sue preoccupazioni, il futuro di tanti giovani russi che credono la democrazia possibile anche in Russia. Il Sir lo ha raggiunto telefonicamente.

(Foto Novaya Gazeta)

È stata dura la decisione di fermare il giornale?
È stata tragica. Non parliamo mai di chiusura ma di “sospensione” perché abbiamo ancora il nostro sito, gli uffici e il gruppo di redattori. Personalmente non sono così ottimista, ma alcuni nella redazione, i più anziani, pensano che potremo riprendere dalla Russia.

Questo giornale ha già affrontato tempi difficili come quando abbiamo coperto le due guerre in Cecenia, in forte opposizione verso il Cremlino: molti in Russia avevano smesso di leggerci, perché la nostra posizione non era troppo popolare. Ma il giornale ha sempre continuato ad esistere. Forse si troverà una soluzione in qualche altra forma.

Il fatto che anche voi siate stati costretti a chiudere, significa che la strategia di Putin di reprimere la libertà di pensiero funziona?
Non so se fosse la sua strategia: il suo obiettivo era vincere la guerra e lasciare che un piccolo numero di testate indipendenti continuasse ad esistere; ma il fatto che sul campo la situazione non sia così come aveva ipotizzato rende necessaria la censura. Si diceva che il regime di Putin volesse ancora una vetrina sui media indipendenti, per cui c’erano ancora la radio Echo Moskvi, la testata Dozhd e noi. Forse volevano usarci, ma noi ne eravamo consapevoli.

Ora però la situazione si è messa così male per il Cremlino che non possono più permettersi di avere nemmeno un lumicino di informazione indipendente e quindi hanno deciso di chiudere tutte le voci. Hanno pure cercato di bloccare Wikipedia perché descrive la vicenda dell’Ucraina come un’invasione, che non è altro che la verità.

L’Istituto di statistica Levada nei giorni scorsi ha affermato che l’81% della popolazione sostiene le azioni delle forze armate russe in Ucraina: come legge lei questo dato?
Ho cercato di chiedere ai sociologi del Levada quante persone si sono rifiutate di rispondere alla domanda sul sostegno alle “operazioni speciali”, come vengono chiamate in Russia. Io credo, ma non ho ricevuto fino ad ora una risposta, che tanti si siano rifiutati di parlare e abbiano risposto soprattutto coloro che sono d’accordo con la politica del Cremlino. Quindi bisogna verificare i numeri. In ogni caso, il 20% di persone che non sostengono la guerra, in uno stato fascista come è quello russo oggi, non è un numero marginale, considerato che non abbiamo democrazia e un’opinione pubblica ma solo persone che hanno paura. Se è così, allora si può lavorare per far crescere il numero di persone che non sostengono la guerra.

Perché la democrazia fa fatica a crescere in Russia e l’opposizione non riesce a farsi valere?
È una domanda complessa, tante sono le ragioni, ma credo che la motivazione principale sia legata all’eredità del regime sovietico: le persone sono molto individualiste, si preoccupano delle proprie faccende e nulla più.

I movimenti politici vengono considerati uno strumento di manipolazione e la politica è guardata come un affare sporco.

Quindi si cerca di condurre una vita normale senza guardare che cosa succede intorno, in un assenteismo politico: è stata una buona soluzione per decenni, quando i redditi della gente crescevano, fino alla vicenda della Crimea.

Come potrà verificarsi un cambiamento?
Credo che ciò che sta avvenendo ora sia il vero collasso dell’Urss. Trent’anni fa l’Urss si è sgretolato con delle guerre ai confini dell’impero sovietico, ma non in Russia. È adesso che sta crollando. La ragione per cui la guerra è possibile non è soltanto Putin, ma una mentalità imperiale in cui ancora fingiamo di vivere, sentendoci superiori a un normale Paese europeo, una grande potenza in grado di competere sulla scena globale. Secondo la visione di Putin, gli Usa controllano l’Europa, la Cina controlla un’altra parte del mondo e la Russia deve avere il suo pezzo, per giustizia storica. E i russi non vogliono sapere la verità e vedere i fatti, perché questo susciterebbe tante domande, mentre la propaganda – anche su questa guerra – tranquillizza. Un cambio culturale arriverà quando si rinnoverà l’identità nazionale: sarà un processo lungo e tragico, che probabilmente porterà allo smembramento della Federazione russa.

Che cosa prova lei in queste settimane?
Sono contento di potermi prendere cura della mia famiglia e delle persone a cui voglio bene ma sono anche molto arrabbiato per quello che stanno facendo al nostro Paese e ancora di più per quello che stanno facendo all’Ucraina: amo l’Ucraina e ho tanti amici a Kiev e in altre città ucraine, che per la maggior parte stanno combattendo nelle forze di difesa territoriale.

È come se fosse la mia guerra personale: se fossi un soldato troverei altre soluzioni, ma sono un giornalista e un insegnante e quindi cerco di rendermi utile così. Sento che possiamo ricreare una comunità di russi che condividono i valori europei: questo mi dà speranza e un po’ di fiducia e mi fa sentire anche responsabile nella creazione di una nuova comunità di valori, secondo i quali la guerra è una pessima soluzione.

Lei è stato pochi giorni fa al Parlamento europeo: che cosa vede nell’Ue e che cosa chiede all’Europa?
Quando sono intervenuto ho detto che adesso capiamo perché è stata creata l’Ue, una confederazione di repubbliche che sono fortemente contro la guerra, dopo secoli di storia europea piena di guerre, e qual è il messaggio dell’Europa unita. In un strano modo io mi sento a casa in Europa e mi sento europeo, anche se ho la cittadinanza russa, perché è naturale vivere e condividere i valori europei. Forse l’Europa ci può aiutare a ricreare questa comunità politica dei russi che sono contro la guerra.

Lei è anche tra coloro che nel 2020 hanno dato vita alla Liberà università di Mosca, che è stato definito “un percorso educativo autonomo, libero da pressioni e censure”. È sostenuta adesso da un centinaio di docenti e offre gratuitamente corsi on-line a centinaia di studenti. Andrà avanti questa esperienza?
Sono molto orgoglioso di questo progetto perché forse siamo rimasti l’unica istituzione educativa russa profondamente contro la guerra. Spero che potremo aiutare i docenti e gli studenti che al momento sono repressi in Russia e creare legami con le università europee.

Due anni fa sono stato licenziato dalla scuola di alti studi economici per le mie visioni politiche ma è stato un bene, perché altrimenti adesso sarei un docente in quell’istituzione e sarebbe difficile per me oggi stare zitto. Invece sono una persona libera. E forse in questa crisi si aprono nuove strade per noi.

Sarà pericoloso tornare in Russia per lei?
Non so se lo potrò fare nelle prossime settimane, mesi o forse anni. Mi è anche successo che il 26 febbraio, mentre facevo una lezione ai miei studenti in una università statale a Mosca e parlavo del male della guerra, il padre di uno studente collegato da remoto mi ha sentito e ha detto che le mie parole erano perseguibili penalmente e che io ero un traditore. Il decano del dipartimento mi ha scritto dopo due giorni e ho capito che mettevo in difficoltà tutto il dipartimento e quindi ho sospeso il corso. C’è un disastro morale nel sistema dell’istruzione russo.

In che cosa spera?
Ho speranza nei giovani russi. Ci sono centinaia di migliaia di giovani che vogliano vivere come in un Paese europeo, vogliono viaggiare, studiare, avere libertà nella loro vita sessuale e sento che sono loro i nostri alleati in questa situazione. Nessun regime russo li può distruggere perché anche se sono una minoranza, in termini assoluti sono tanti e sono giovani, per cui hanno davanti tanto tempo.

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