Strasburgo: l’altra città dietro la “capitale d’Europa”. Studenti, poveri, e un rosario in cattedrale

Quattro giorni di plenaria dell'Europarlamento. Poi, partiti deputati, assistenti, funzionari e giornalisti, la città alsaziana torna ai suoi residenti. Anziani a passeggio, molti studenti, biciclette. Turisti in cattedrale; in un angolino una donna che prega. I mendicanti indisturbati che trovano qualche mano tesa. Un'"altra Strasburgo", che comunque si definisce, orgogliosamente, "capitale d'Europa"

(Foto SIR)

Venerdì. Un venerdì di febbraio a Strasburgo quando, il giorno seguente la plenaria del Parlamento europeo (14-17 febbraio), gli strasburghesi si riappropriano della loro città. I due-tremila “pellegrini” che ogni mese, per quattro giorni, lasciano Bruxelles per recarsi nella sede ufficiale dell’Assemblea Ue, sono partiti. Deputati, assistenti, funzionari, giornalisti, autisti… invadono pacificamente la città alsaziana per quasi una settimana. Di giorno se ne stanno rinchiusi della sede del Parlamento, alla periferia nord-est della romantica città alsaziana; poi la sera si riversano negli innumerevoli ristoranti, alberghi, alloggi del centro, facendo la fortuna di tassisti, osti, albergatori, negozianti di ogni genere.
Il venerdì, invece, la città – con oltre 270mila abitanti, divisa tra Francia e Germania per storia, tradizioni, enogastronomia e dialetto – ritrova se stessa. Per le strade ci sono meno auto blu, mentre i numerosi studenti circolano chiassosi. Molte le biciclette, alcune con carrellino appresso per il trasporto a scuola dei figli. Anziani a passeggio lungo i canali o dalle parti del Barrage Vauban, gloria civica e militare di una città sempre contesa da re e imperatori stranieri. Al centro la splendida e ultramillenaria cattedrale gotica, contornata da abitazioni, come la Kammerzell, che dal ‘400 testimoniano una storia ricca di episodi bellici, di alto artigianato, di fede (cattolici, protestanti, ebrei, e ora numerosi musulmani). A due passi c’è rue Des Orfevres, nota per il tragico attentato del 2018 in seguito al quale persero la vita 5 persone, fra cui il giovane reporter italiano Antonio Megalizzi.

Una città di commerci, di fabbriche, di birrerie (antiche e famose le marche locali). Città che non nasconde la povertà e in qualche modo “tollera” la presenza di numerosi sans-abri (senzatetto) che possono dormire sotto i portici del centro, salvo levare cartoni, stracci e coperte la mattina presto, così da lasciare il passo a manager, pensionati, clienti dei negozi.
Poco oltre la cattedrale ecco un mendicante e più in là due ragazzi, forse ventenni, a contendersi qualche spicciolo. Altri quattro sotto le vetrine di McDonald’s. Mi avvicino. Marta e Henry si definiscono “viaggiatori per la vita”. Raccontano tutto: via da casa per incomprensioni con i genitori, incontro con pessimi compagni di viaggio, fame, amore per i cani “che ci fanno compagnia”. Vengono dalla Normandia, “ma – dicono – non ci torniamo più”. E domani dove sarete? Come vi vedete tra dieci anni? Uno sguardo, spento e laconico, lascia intuire che la domanda è fuori luogo.
Mi trasferisco dalle parti di Place St. Etienne, contornata di tipiche case à colombages: lì c’è il foyer dello studentato cattolico e a pochi metri rue De l’Arc en Ciel (l’arcobaleno, Räjeböjegass nell’idioma locale). L’indicazione ricevuta da una giovane era giusta per scoprire uno dei diversi angoli di carità offerti dalla chiesa o dalla comunità civile. Un portone è spalancato su una via di case antiche e palazzine moderne, davanti al quale stazionano una ventina di persone. “L’abito non fa il monaco”, si dice, ma i vestiti dei presenti raccontano, senza dubbi, una vita di miseria. Tre giovani volontari offrono caffè o tè caldo, un pane con l’uvetta o pane con qualche goccia di cioccolato. Marc, nordafricano, butta lì: “questo mi basta fino a stasera, Poi si vedrà”. Non lavori – chiedo? “Qualche giorno sì, altri no. Poca cosa… Ma ho molti amici. Beviamo tanto d’inverno per scaldarci, birre di un piccolo market che accetta monetine”.
Ripasso dal centro, tiro dritto fino a Place Gutemberg: la statua dell’inventore della stampa moderna mostra un volto triste, forse perché nascosta da qualche giostrina disabitata. Fra questa piazza e la vicina Place Kleber (eroe militare strasburghese), corre una larga via dove i mendicanti non mancano, indisturbati dai residenti e dai militari, presenza abbondante in città.
Entro in cattedrale, probabilmente uno degli edifici di culto più noti in Europa. I turisti hanno la meglio, ma, in fondo alla navata centrale, ecco una donna anziana. Mi avvicino e le lancio qualche occhiata. Tiene in mano un rosario. Prega sibilando qualche “s” e marcando le “r” alla francese. Questa volta non faccio domande, per non interrompere una conversazione così intima.Alle spalle della cattedrale, il gigantesco seminario del ‘700: gli studenti sono pochini (fra loro tre italiani, qui per approfondire teologia e pastorale), eppure l’attività all’interno è vivace.
Mi spingo fino al Parlamento, per vedere che impressione fa il giorno dopo. Entrano solo donne, per lo più col capo coperto, passo veloce. Alcune ormai le riconosco: da anni le vedo fare le pulizie al mattino presto nei locali della sala stampa e nei corridoi e bagni adiacenti.
Volti poco noti. Storie “minori”. Tratti di vita dalla “capitale d’Europa”. Nell’attesa che ritornino gli eurodeputati.

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