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Germania. Mons. Overbeck (Essen): “Il dramma degli abusi ci sta trasformando in una Chiesa più povera e più umile”

"Abbiamo perso credibilità. La gente non crede più nella Chiesa, nei preti, nei vescovi. Non solo è diventato molto difficile per le persone credere nella Chiesa, ma è difficile anche capire cosa e se la Chiesa ha ancora qualcosa da dire oggi nella società post-moderna". È mons. Franz-Josef Overbeck, vescovo di Essen (Germania) a spiegare come la Chiesa cattolica in Germania si sta impegnando nel cammino sinodale in un contesto profondamente segnato dagli scandali degli abusi. E parlando delle vittime, dice: "Per tanti, troppi anni non le abbiamo viste, anche se erano fra di noi e con noi tutto il tempo. Mi sembra che valga la pena, almeno per l’Europa, parlare di crisi della coscienza"

“Il cammino sinodale che abbiamo percorso finora è stato generato sostanzialmente dalla crisi dell’abuso, dal dramma di preti che hanno abusato di minorenni e bambini. Uno scandalo scoppiato nel 2010 che ci ha costretto a cercare, non solo come vescovi e preti, ma insieme a tutto il popolo di Dio e tutti gli uomini di buona volontà, le strade per aprire una nuova tappa della nostra storia come Chiesa in Germania”. Non ci gira intorno e va dritto al punto mons. Franz-Josef Overbeck, vescovo di Essen (Germania) per spiegare quando, perché e come la Chiesa cattolica in Germania si sta impegnando nel cammino sinodale. “Synodaler Weg”, viene chiamato in tedesco e la decisione di avviarlo è stata presa dall’Assemblea dei vescovi celebrata a Lingen nel marzo 2019. “Preferiamo dare a questo impegno questo nome e non Sinodo”, precisa subito il vescovo Overbeck. “Significa che è un processo e progresso allo stesso tempo. Un progresso in avanti e un processo il cui esito non lo conosciamo. Speriamo solo che sia un processo ispirato dallo Spirito”. Vi partecipano tutti i vescovi della Conferenza episcopale (Dbk) e altrettanti membri del Comitato centrale dei cattolici (Zdk), con in più rappresentanti di religiosi e consacrate, giovani, diaconi e altre realtà ecclesiali. Un’Assemblea che conta circa 230 membri, una settantina donne.

Foto Comece

Non solo in Germania, anche in altri Paesi d’Europa e nel mondo, la Chiesa si confronta con le ferite degli abusi. Quali effetti ha avuto questa tragedia in Germania?

Abbiamo perso credibilità. La gente non crede più nella Chiesa, nei preti, nei vescovi. Ha ragione Papa Francesco quando dice che stiamo vivendo non tanto un‘epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Ci stiamo chiedendo allora come possiamo reagire. Non solo è diventato molto difficile per le persone credere nella Chiesa ma è difficile anche capire cosa e se la Chiesa ha ancora qualcosa da dire oggi nella società post-moderna, mettendo in discussione la plausibilità stessa della fede come sorgente della esistenza del cristianesimo come tale.

Diceva che il cammino sinodale è un processo il cui esito nessuno ancora conosce. Ma dove si vuole arrivare?

Quando la meta del cammino è sconosciuta, bisogna fare un passo dopo l’altro. Questa è la saggezza della Chiesa maturata in 2000 anni di storia e questo è quello che stiamo facendo in Germania. Non conosciamo bene l’esito del percorso ma conosciamo la prossima tappa. Stiamo cercando in questo momento di dare insieme risposte nuove alle domande che ci pone la gente.

In Germania, sono quattro i temi messi al centro del confronto sinodale: “potere e divisione dei poteri nella Chiesa”; “vita sacerdotale oggi”; “donne nei servizi e nei ministeri della Chiesa”; “amore e sessualità”. Perché questa scelta?

Siamo allo stesso momento parte della Chiesa universale con il Papa e conviventi con tutti gli altri. In Germania in questo momento solo la metà della popolazione cristiana è battezzata e di questi battezzati, la metà appartiene alla Chiesa protestante, l’altra alla tradizione cattolica. La Chiesa protestante da quasi 70 anni ha pastori donne. È frequente quindi che si pone anche alla Chiesa cattolica qui in Germania la domanda sul sacerdozio femminile. Ci sono poi le scienze umane che evolvono le loro ricerche sulla sessualità femminile e maschile così come i progressi della politica riguardo alle leggi sull’uguaglianza dei diritti di tutti. Insomma, sorgono domande nuove. Non c’è quindi solo la crisi dell’abusi. Viene messo in discussione una certa storia che abbiamo vissuto e che sta radicalmente e velocemente cambiando.

Non c’è paura, da parte soprattutto dei vescovi, di intraprendere fughe in avanti. Come si gestisce il nuovo e la richiesta di avviarsi su strade nuove rispetto al tracciato storico?

Dobbiamo andare avanti insieme a tutta la Chiesa e in Germania forse abbiamo più pazienza di quanto si possa immaginare. D’altra parte, siamo anche convinti che queste domande ci sono non solo in Germania, ma anche nei paesi più industrializzati e post-moderni. Sono domande che investono tutta la Chiesa universale: come affrontarle? Stiamo vivendo una età della Chiesa di cambiamento radicale, non di distacco dalla tradizione ma con la tradizione. Ripeto, è un cambiamento di cui si conosce solo la tappa successiva ma non l’esito finale.

Si è fatto un’idea di come sia possibile dare un esito al cambiamento?

Mi vengono due considerazioni. La prima è che molti problemi non possono più trovare risposte convincenti in strategie puramente nazionali. Questa apertura al mondo vale per quasi tutti i problemi e le sfide che stiano affrontando. Faccio riferimento per esempio alle questioni migratorie, alla costruzione della pace, al cambiamento climatico, alle crisi sanitarie post-Covid. La seconda considerazione riguarda invece l’opzione prioritaria per i poveri e per i più deboli. Mi pare che questa priorità sia il risultato anche della crisi degli abusi che stiamo vivendo in Germania e che ci ha obbligato ad avere uno sguardo privilegiato per i deboli presenti tra noi. Per tanti, troppi anni non li abbiamo visti, anche se erano fra di noi e con noi tutto il tempo. Mi sembra che valga la pena, almeno per l’Europa, parlare di crisi della coscienza e domandarci oggi come andare avanti a partire da questa povertà, in tutte le sue espressioni.

Può questo cammino sinodale diventare per la Chiesa in Europa occasione per fare un “bagno di verità”?

Si, della tradizione ma non solo. È un bagno di verità anche rispetto alla capacità che abbiamo, come popolo di Dio, di confrontarci con la realtà di oggi, con le famiglie, l’educazione, con tutte le strutture culturali, con il mondo.

Quanto ha influito il dolore per la ferita degli abusi su questa capacità della Chiesa tedesca di mettersi in discussione?

Non può immaginare quanto.  È terribile, più che terribile. Come vescovo ho parlato con così tante vittime e con le loro famiglie. Ho quindi potuto toccare con mano le conseguenze che gli abusi hanno avuto sulla loro vita. È una grandissima sofferenza, prima di tutto per le vittime ma anche per la Chiesa. Per la Chiesa in secondo luogo, ovviamente. In primo luogo, le vittime.

Di fronte a questo oceano di verità e sofferenza, pur non sapendo quale possa essere la meta del cammino sinodale, lei ha maturato un sogno? Quale Chiesa immagina di poter consegnare alle generazioni future?

Una Chiesa più attenta alla povertà della gente, in tutte le sue dimensioni e anche Chiesa più umile. Una Chiesa fondata sull’umiltà, quasi come sacramento della presenza di Dio nella storia. Questo è il mio sogno.

 

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