Incontro Cei su Mediterraneo. Mons. Frendo (Albania): “Una società multiculturale e multireligiosa è possibile”

Dopo una storia di dominazioni straniere, un regime comunista più inumano di quello russo e cinese, l'Albania oggi è un Paese che non vuole restare ancorato alla sua memoria ma che vuole guardare avanti. "Abbiamo ricostruito quasi tutto quello che era stato distrutto dal comunismo. L’Albania oggi è un modello di convivenza interreligiosa. Questo è il messaggio che porteremo all'incontro di Bari", dice mons. George Anthony Frendo, arcivescovo metropolita di Tirana-Durazzo e presidente della Conferenza episcopale albanese

foto SIR/Marco Calvarese

“Una Chiesa che guarda al futuro, che fa memoria delle sofferenze patite lungo tutta la sua storia e fino ai nostri giorni”. È la Chiesa di Albania nelle parole di mons. George Anthony Frendo, arcivescovo metropolita di Tirana-Durazzo e presidente della Conferenza episcopale albanese. Mons. Frendo partecipa a Bari all’incontro promosso dalla Cei, “Mediterraneo, frontiera di pace” (19-23 febbraio), insieme ad altri vescovi cattolici di 20 Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. “Sono di origini maltesi per questo legato a doppio filo al Mediterraneo”, dice al Sir. E parlando del Mediterraneo sottolinea come “questo bagni Paesi di diversa tradizione storica e religiosa, più o meno sviluppati. Tra questi

l’Albania oggi può essere indicata come un modello di convivenza.

Una società multiculturale e multireligiosa è possibile: è questo il messaggio che portiamo a Bari”.

Una storia di dominazioni e una Chiesa di martiri. Il Paese delle Aquile, ricorda mons. Frendo, “porta su di sé la storia di dominazioni straniere, penso per esempio all’Impero Ottomano, è stata colonia di altri Paesi più grandi e potenti. Poi in epoche più recenti ha subìto la forma più radicale, crudele e antireligiosa del comunismo, più inumano di quello russo e cinese. Eppure la democrazia ha vinto”. E con essa anche la storia religiosa del popolo albanese. La distruzione sistematica, a partire dal febbraio 1967, degli edifici di culto non è bastata ad azzerarla e a cancellarne la memoria.

“La Chiesa albanese è una Chiesa di martiri – sottolinea il presule -. Essa è stata la vittima principale del comunismo ateo perché non ha voluto stipulare nessun compromesso con il regime. Per questo oggi la Chiesa cattolica gode di molta credibilità. Durante le emergenze, come subito dopo la caduta del comunismo nel 1991, la Chiesa cattolica ha offerto molto aiuto a chi soffriva di più, senza badare a etnia e fede religiosa. I musulmani sono rimasti molto impressionati dall’aiuto ricevuto”.

“Sempre vicina a chi soffre, ieri come oggi”, l’Albania è stata l’ultimo Paese dell’Europa dell’Est “a vedere la caduta del regime comunista – rimarca l’arcivescovo metropolita di Tirana-Durazzo -, poi abbiamo avuto altre vicissitudini come le rivolte, quasi una guerra civile nel 1997, nel 1999 l’arrivo dei rifugiati kosovari a causa del conflitto tra Kosovo e Serbia, fino ad arrivare al terremoto di novembre 2019. Ma

non possiamo restare ancorati al passato, è tempo di guardare verso il futuro.

La nostra Chiesa in Albania è protesa nella storia, insieme alla Chiesa universale, per edificare e costruire il Regno di Dio”.

 

Un cammino difficile. Il futuro dell’Albania si chiama anche Unione europea. “Il processo di integrazione europea è una delle nostre mete – afferma convinto mons. Frendo -, ma purtroppo il cammino del nostro Paese in Europa va a rilento. L’Ue, infatti, non ha preso una decisione sull’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del nord. Ad inizio di febbraio – ricorda il presule – sono stato alla Comece (Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea) per spiegare i motivi per cui l’Albania merita di essere candidata all’ingresso nell’Ue. Il primo di questi è che l’Albania oggi è un modello di convivenza interreligiosa.

Abbiamo ricostruito quasi tutto quello che era stato distrutto dal comunismo 50 anni fa. E sarà così anche dopo il terremoto del 26 novembre scorso”, afferma l’arcivescovo. La scossa di magnitudo 6.4 ha provocato la distruzione di infrastrutture pubbliche e private, con un bilancio di 51 morti, circa mille feriti e 14mila sfollati. “Attualmente la ricostruzione stenta a partire. Ci sono ancora migliaia di persone che hanno perso tutto e soffrono le conseguenze del sisma. La Chiesa è al loro fianco e ancora una volta continua nella sua missione di aiuto reso possibile dalla solidarietà di altre Chiese e Caritas, in testa quella italiana. Bari è l’occasione per rinsaldare questi legami e per rendere sempre di più il Mediterraneo una frontiera di pace”.

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