Se Gesù nascesse oggi, forse lo farebbe a bordo della barca salpata dalla Libia lo scorso 18 dicembre, con 117 persone a bordo e diretta verso la terra promessa. Il neonato si sarebbe perso nelle acque gelide del Mediterraneo, alle soglie del solstizio d’inverno, nel buio della notte. Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.
Nel giorno di Natale, fuori dalla poesia dei presepi, si proclamano le parole di Giovanni che annunciano l’ingresso discreto e definitivo della Vita nella storia. Vita che vince la morte. Vita che è luce. Luce che splende nelle tenebre e che le tenebre non hanno vinto.
Attorno a quella barca di legno nessun pastore, com’è ovvio. Nessuna bestia domestica a riscaldare l’aria. Solo alcuni pescatori tunisini che hanno tratto in salvo – pescatori di uomini – l’unico sopravvissuto. Unico testimone di un viaggio di speranza trasformatosi in evento di morte, a causa dei venti che all’improvviso hanno interrotto la navigazione. E dell’indifferenza. Cadaveri sparsi nel mare nostro, volti i cui lineamenti ricordano quelli dei tre re che, a Betlemme, visitarono il bambino e gettarono nel panico il potente di turno.
Se Gesù nascesse oggi, lo farebbe tra le tende di un campo profughi dell’Africa subsahariana, infiammata da guerre dimenticate. Lo farebbe nei rifugi antiaerei di Kiev o nelle baracche allagate di Gaza. Nelle prigioni del Myanmar, nei villaggi del Sahel bruciati da terroristi blasfemi, nella solitudine dei nostri condomìni, nell’Europa xenofoba e islamofobica, nella deriva antisemita, nell’America che torna a essere “grande” sulla pelle dei senza patria e dei diseredati. Nascerebbe tra gli scarti di un’economia che uccide.
Il bambino che in questi giorni contempliamo nella culla di Betlemme è portatore di un solo messaggio: Dio è amore. Lui stesso è quel messaggio – la Parola, il Verbo. È la vita. È la luce. Viene nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. La storia di quella nascita ci dice, e ci ripete, che il metro della giustizia, della pace, della vita buona è il posto che prepariamo per coloro che chiamiamo “i poveri”: coloro che sono privati del necessario per vivere nella dignità e che sono i prediletti da Dio.
Natale torna ogni anno a ricordarci che, benché il Creatore di tutte le cose si sia presentato come il “Dio con noi”, il mondo che è stato fatto per mezzo di lui non lo ha riconosciuto. Benché sia venuto fra i suoi, i suoi non lo hanno accolto. Quel bambino, quella bambina che oggi nasce nella barca in tempesta, nella tenda battuta dal vento, tra il sibilo delle bombe e sotto l’ombra sinistra dei droni, è lui, è lei che siamo chiamati a riconoscere e ad accogliere.
Solo così potremo fregiarci della qualifica di “figli di Dio”, che significa, in definitiva, essere alito di quella vita, scintilla di quella luce capace di rompere il silenzio complice e di rischiarare il buio che ci avvolge.
In un mondo soffocato dal buio, la scintilla del Natale si accende come una buona notizia. Quella buona notizia che tutti attendiamo con ansia. In un mondo circondato da parole di morte, non è indifferente sapere che questa luce discreta, che non abbaglia e dà scacco alle tenebre, è vita vera. Non siamo più immersi nel buio, ma circondati da forze buone. Chiamati non alla morte, ma alla vita. Avvolti non dalle tenebre, ma dalla luce.
Buon Natale.

