Un forte richiamo a non “stare seduti” ma a mettersi in cammino per accogliere la grazia del Giubileo. È l’appello lanciato da mons. Mario Delpini, arcivescovo metropolita di Milano, durante la sua meditazione rivolta a sacerdoti e seminaristi, tenuta ieri nella chiesa di San Salvatore in Lauro a Roma. Le sue parole, dense di significato, hanno toccato tre pilastri fondamentali per la vita e il ministero sacerdotale: la riscoperta di un rapporto personale con Cristo, la valorizzazione dell’appartenenza al presbiterio e la coerenza con il Vangelo. Mons. Delpini ha esordito con una domanda provocatoria, ispirata alla chiamata di san Matteo:
“Non è che per caso anch’io sono un uomo seduto?”.
L’arcivescovo ha invitato i sacerdoti a riflettere sulla possibilità di essere “assestati in un ministero, in una professione che si ripete tutti i giorni”, rischiando di perdere la passione iniziale. La storia stessa di Matteo è iniziata con uno sguardo di Gesù, uno sguardo capace di conoscere, commuovere e interpretare un’inquietudine profonda, una “nostalgia di qualcosa di meno sicuro, capace di dare un senso”. “Ci vuole uno sguardo – ha ribadito Delpini – una presenza di Gesù che mi conosce, mi commuove e interpreta”. Ed ha esortato a recuperare quel “bisogno di santità” che, nel tempo, rischia di appannarsi, trasformando i sacerdoti in “funzionari”.
Secondo punto cruciale affrontato nella meditazione è stato il valore dell’appartenenza al presbiterio. Essere presbiteri, ha spiegato, significa prima di tutto “essere collaboratori del vescovo e far parte del presbiterio”. Questo principio, secondo Delpini, rappresenta una vera e propria “riforma del clero che contrasta con l’individualismo e l’essere statico”.
L’arcivescovo ha criticato la tendenza del singolo parroco a essere “troppo determinante per la comunità”, evidenziando come la gente chieda che “il prete stia lì per loro”. Tuttavia, ha rammentato che “esiste la Chiesa, esiste il gruppo di coloro che insieme col vescovo si fanno carico della missione apostolica”. L’invito è a “stare insieme per il Vangelo”, non per una “compensazione affettiva” o per mera compagnia, ma perché si è parte di un corpo comune. Le diverse sensibilità, ha sottolineato, devono diventare una “ricchezza comune, non il principio di frammentazione del presbiterio”. Ha anche auspicato una maggiore condivisione economica, citando l’esempio del fondo della diocesi di Milano per i sacerdoti anziani, sebbene consapevole che il tema sia ancora un “tabù”.
Ricordando le parole di Gesù, “vi mando come pecore in mezzo ai lupi”, mons. Delpini ha esortato i sacerdoti alla coerenza evangelica, anche quando questa comporta una certa impopolarità.
“La coerenza con il Vangelo ci impone di non essere accondiscendenti con quella che è diventata un’abitudine, un’incrostazione”,
che è infine la caratteristica del mandato apostolico: “Andate in tutto il mondo, predicate a tutte le nazioni”. Nonostante l’apparente mediocrità e inadeguatezza mostrata dagli apostoli, ciò che li rassicurò e li spinse a partire fu la promessa di Gesù quando disse loro: “Sono con voi tutti i giorni”. Per Delpini l’incitazione vale anche per i sacerdoti affinché non considerino le sfide come obiezioni alla missione, ma come una parte integrante del loro cammino. “Sono partiti loro – ha concluso –, possiamo partire anche noi”.

