Giubileo dello sport. A Rebibbia “I Giochi della speranza”. Pasquini: “Modello replicabile in altre carceri”

Una mini Olimpiade nel complesso maschile del carcere di Rebibbia il 13 giugno, alla vigilia del Giubileo dello sport. In gara detenuti, polizia penitenziaria, magistrati ed esponenti della società civile perché, spiega al Sir il presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, “dare speranza ai detenuti passa anche attraverso lo sport”. E c’è un sogno nel cassetto: un’edizione femminile dei Giochi in occasione del Giubileo dei detenuti del 14 dicembre

(Foto Sport e salute)

“Poiché i detenuti non potranno parteciparvi, abbiamo pensato di portare il Giubileo dello sport in carcere, e proprio a Rebibbia dove lo scorso 26 dicembre Papa Francesco ha aperto la Porta Santa dando ai detenuti un segno di inclusione e di speranza”. Daniele Pasquini, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, illustra al Sir la prima edizione de “I Giochi della speranza” che si svolge oggi, 13 giugno, all’interno della casa circondariale maschile del carcere romano di Rebibbia – alla vigilia del Giubileo dello sport in programma il 14 e 15 giugno – per promuovere lo sport come strumento di inclusione, crescita personale e reinserimento sociale. L’iniziativa è promossa da un network costituitosi circa un anno fa tra Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, Dap – Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, e rete di magistrati “Sport e Legalità”.

Una sorta di piccola Olimpiade?
Sì, che vedrà quattro rappresentative (detenuti, polizia penitenziaria, magistrati ed esponenti della società civile) fronteggiarsi in un torneo polisportivo di calcio a 5, pallavolo, atletica leggera (60 metri piani e staffetta 4×800), tennis da tavolo, calcio balilla e scacchi. Lo sport è anzitutto incontro e il nostro obiettivo è far incontrare i diversi soggetti dell’universo carcerario, ma anche chi ne vive al di fuori perché

il carcere è una parte della società che non può essere dimenticata o messa a tacere. E’ una realtà che interpella ciascuno di noi.

Quanto è importante l’attività sportiva in carcere?
E’ fondamentale, è un diritto sancito dalla legge, anche se spesso poco garantito per mancanza di finanziamenti. Non si tratta dunque di un accessorio o di qualcosa di superfluo, bensì di un bisogno primario che probabilmente non cogliamo pienamente ma che non può rimanere inascoltato. Questi Giochi sono un gesto simbolico, ma vorrebbero costituire una sorta di eredità del Giubileo dello sport per il mondo delle carceri italiane: una risposta concreta a questo bisogno, e un modello replicabile anche in altri istituti.

Dare speranza ai detenuti passa anche attraverso lo sport.

Anche perché è alla portata di tutti ed ha un linguaggio universale…
Lo sport è accessibile a chiunque, non conosce barriere linguistiche e può favorire l’incontro immediato fra persone di paesi e culture diversi, com’è la popolazione carceraria, promuovendo la conoscenza reciproca e permettendo di vivere una dimensione di relazione e di socializzazione. Ma è anche una preziosa valvola di sfogo rispetto allo stress che si accumula stando sempre reclusi all’interno di celle o di spazi ristretti; è insomma uno strumento di promozione del benessere psicofisico.

Una sorta di piccola oasi di libertà.

Quando i detenuti si divertono giocando, entrano in qualche modo in una realtà parallela che li aiuta poi a sopportare meglio la vita reale, una quotidianità fatta di giorni tutti uguali in cui si altera, oltre alla dimensione spaziale, anche quella temporale che diventa una sorta di infinito tempo di attesa dell’uscita dal carcere. Lo sport aiuta a “riempire” questo tempo sospeso.

In ambito penitenziario qual è il valore educativo dello sport?
Lo scopo della detenzione è rieducare e preparare al reinserimento nella società. Lo sport è fatto di disciplina, costanza, sacrificio, rispetto delle regole e dell’avversario; pertanto può essere una risorsa preziosa di crescita personale e, in qualche modo, di riscatto. La rete di cui fanno parte la Fondazione che io presiedo, il Dap e il network “Sport e Legalità” ha già organizzato iniziative benefiche e sociali attraverso lo sport in tutta Italia, ma questi Giochi sono un unicum perché mettono fisicamente in campo i diversi soggetti che hanno a che fare con la vita del detenuto: polizia penitenziaria e magistrati, ai quali abbiamo voluto accostare esponenti della società civile.

Portare in carcere persone che non vi hanno mai messo piede è un modo per tentare di abbattere il muro di diffidenza, indifferenza e ignoranza innalzato dalla società rispetto alla condizione carceraria.

Far giocare gli “esterni” con i detenuti, far vedere loro dove vivono quotidianamente può sembrare una cosa da poco, ma è tutt’altro, e fa sentire i detenuti meno isolati ed emarginati. Ed anche questo aiuta il percorso di riabilitazione.

Dottor Pasquini, per concludere, qual è il suo sogno nel cassetto?
La piccola Olimpiade odierna si disputa tra squadre maschili. Il nostro sogno, se sarà possibile realizzarlo perché ci sono criteri di sicurezza da rispettare, è tornare a Rebibbia, in occasione del Giubileo dei detenuti il prossimo 14 dicembre, con un’edizione di Giochi dedicata alle donne recluse nel complesso femminile.

La Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport è nata nel 2008 con lo scopo di promuovere i valori educativi dello sport, seguendo le indicazioni di Giovanni Paolo II e della Nota pastorale “Sport e vita cristiana” della Commissione ecclesiale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei, con un’attenzione particolare verso i giovani. Oggi collabora con l’Ufficio nazionale Cei dedicato ed opera principalmente su due fronti: la promozione dei valori educativi dello sport attraverso la rivisitazione e il rilancio della pastorale sportiva all’interno delle parrocchie con la ridefinizione ludico-sportiva degli oratori parrocchiali, e la realizzazione di eventi culturali e formativi.

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