Concilio di Nicea. Mons. Coda (teologo): “Amore e unità sono le grandi parole del nostro tempo”

Ricorrono quest’anno i 1.700 anni del Primo Concilio Ecumenico di Nicea ed è in corso oggi a Roma una Giornata di studio in cui sarà presentato un Documento dedicato a questo anniversario dal titolo “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”. Mons. Coda: Nicea "indica ancora oggi che la forma sinodale di vivere la Chiesa, cioè l'incontro, il dialogo, l'ascolto, è l'unica strada attraverso la quale si superano le polarizzazioni, non eliminando le differenze, ma portandole su un livello più alto”

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(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Poco conosciuto. A volte ignorato. Eppure, il Concilio Ecumenico di Nicea rappresenta una pietra miliare nel cammino della Chiesa e anche dell’intera umanità perché è riuscito a formulare – nonostante punti di vista e opinioni differenti – una professione di fede in Gesù in cui ancora oggi si riconoscono tutti i cristiani. Abbiamo chiesto a mons. Piero Coda, teologo e segretario generale della Commissione teologica internazionale, di spiegarci il significato e soprattutto l’attualità del messaggio del 1700° anniversario del Concilio ecumenico di Nicea. Lo fa nel giorno in cui alla Pontificia Università Urbaniana è in corso una Giornata di studio per la presentazione di un Documento dedicato a questo anniversario dal titolo “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”.

Sia Papa Francesco e Papa Leone, sia il Patriarca ecumenico Bartolomeo e i leader del Consiglio mondiale delle Chiese insistono sull’importanza del concilio di Nicea. Perché?

Il Concilio di Nicea è fondamentale nella storia del cristianesimo e riveste un’attualità grande anche oggi, almeno per tre diversi motivi. È stato innanzitutto il primo Concilio ecumenico della Chiesa una. La Chiesa nella sua unità si è ritrovata per esprimere la sua fede. Il secondo motivo è legato al fatto che il Concilio di Nicea ha formulato pubblicamente una professione di fede in cui si riconoscono tutti i discepoli di Gesù. Il Simbolo della fede fatto a Nicea, e completato poi nel 381 al primo Concilio di Costantinopoli è il Simbolo Niceno-Costantinopolitano che rappresenta la carta d’identità della fede cristiana e che anche noi cattolici continuiamo a professare nella liturgia. Inoltre, come terzo motivo di importanza, il Concilio di Nicea ha rappresentato una novità anche nel mondo del pensiero e della cultura, perché fu formulata la fede in Gesù come vero figlio di Dio che si è fatto vero uomo e la fede nella Santissima Trinità, offrendo una chiave di interpretazione del mistero di Dio e della vocazione dell’umanità. Per questo ha un’enorme attualità oggi in un momento in cui, come ci ha ricordato già più volte Papa Leone in questi primi giorni del suo ministero, occorre riaccendere la luce donata dalla fede in Gesù per illuminare i gravi problemi del nostro tempo e rispondere alle sfide enormi che ci troviamo a dover affrontare.

Fu un Concilio che seppe superare conflitti e avversità. Cosa dimostra Nicea all’uomo di oggi che vive in un tempo in cui le posizioni si radicalizzano e diventano motivo di tensione? Quale “metodologia” si usò per superare i contrasti?

La metodologia fu quella sinodale, e cioè di dialogo e di ascolto. Il metodo fu quello di mettersi in ascolto della voce dello Spirito Santo, ascoltando la voce gli uni degli altri come ha sottolineato Papa Francesco dando vita al processo sinodale e come ha sottolineato già più volte anche Papa Leone. A Nicea certamente c’erano posizioni non soltanto diversificate ma anche tra loro incompatibili, addirittura conflittuali. Il miracolo dello Spirito Santo è stato che per la prima volta, la Chiesa ha potuto superare queste divergenze. Non fu una cosa immediata. Ci sono voluti i decenni successivi per appianare le diversità ma è stato un segno luminoso nella storia. Indica ancora oggi che la forma sinodale di vivere la Chiesa, cioè l’incontro, il dialogo, l’ascolto, in fedeltà alla Parola di Dio, è la strada, anzi, l’unica strada attraverso la quale si superano le polarizzazioni, non eliminando le differenze, ma portandole su un livello più alto.

Incontrando i rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali che hanno preso parte alla Messa di insediamento, Papa Leone XIV ha sottolineato che la sua elezione è avvenuta nell’anno in cui ricorre il 1700° anniversario del Concilio di Nicea. E ha detto: “quella per l’unità è sempre stata una mia costante preoccupazione, come testimonia il motto che ho scelto per il ministero episcopale: ‘In Illo uno unum’”. Come si prospetta dal punto di vista delle relazioni ecumeniche, questo Pontificato?

È una coincidenza provvidenziale, benedetta da Dio, il fatto che questo Pontificato con questo richiamo forte alla centralità di Gesù vissuta nell’unità della Chiesa, inizi proprio nell’anno in cui celebriamo l’anniversario di Nicea. La presenza del Patriarca ecumenico Bartolomeo e di altri rappresentanti delle Chiese, alla Messa di inizio Pontificato di Leone così come l’incontro avuto il giorno dopo con i rappresentanti delle diverse chiese e comunità ecclesiali, è un segno estremamente promettente. Inoltre, quest’anno la celebrazione della Pasqua per la Chiesa ortodossa e per la Chiesa cattolica ha coinciso nello stesso giorno, tenendo conto del fatto che proprio a Nicea si stabilì il computo della festa Pasquale. Anche questo è un segno di speranza. Tutto ciò indica chiaramente che si può camminare insieme, non concependo l’unità in modo uniformante, ma come il fiorire della diversità nella comunione dei doni reciproci che sono maturati anche nel corso di questi secoli di divisione. Penso che il motto stesso agostiniano scelto da Papa Leone esprima questa volontà precisa che diventa invocazione di preghiera per l’unità, che è la preghiera che Gesù ha rivolto al padre: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola”. “In Illo uno unum”, è la sintesi agostiniana – ripresa da Leone – della preghiera dell’unità che Cristo ha lasciato ai suoi nell’Ultima Cena.

I tempi sono gravi. Di fronte alle grandi sfide di questo momento, cosa e come devono agire i cristiani?

Occorre aprire gli occhi del cuore e della mente, alla luce che viene da Gesù e che Dio ci ha donato in Gesù attraverso lo Spirito Santo. Quella luce che è amore, che ci fa riconoscere gli uni gli altri, ritrovandoci così uno nella singolarità di ciascuno.

Questo è il segno che il mondo attende dai cristiani oggi. Da questo riconosceranno che siete i miei discepoli. Amore e unità, ha detto Papa Leone, sono le grandi parole del nostro tempo.

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