La canonizzazione di Giuseppe Allamano e il racconto del miracolo a Sorino Yanomani

La canonizzazione di colui che possiamo definire un vero e proprio “rivoluzionario della missionarietà”, per l’intuizione che l’annuncio del Vangelo doveva avvenire nel dialogo con le lingue e le culture di ciascun popolo, avviene anche grazie alla guarigione miracolosa di un indigeno, Sorino Yanomami, un non cristiano, che vive nel Roraima, vasta regione in cui il Vangelo è entrato soprattutto grazie alla congregazione della Consolata

(Foto Consolata)

“Era il 7 febbraio 1996, primo giorno della Novena del beato Giuseppe Allamano”. Si ricorda tutto, di quel giorno, suor Maria Da Silva Ferreira, missionaria della Consolata nella diocesi di Roraima, nel nord del Brasile, a contatto con la popolazione Yanomami. Un giorno decisivo per la canonizzazione di Giuseppe Allamano, il sacerdote Torinese fondatore dei missionari e missionarie della Consolata. Il rito, presieduto da Papa Francesco, avverrà domenica 20 ottobre, in occasione della Giornata missionaria mondiale.

La canonizzazione di colui che possiamo definire un vero e proprio “rivoluzionario della missionarietà”, per l’intuizione che l’annuncio del Vangelo doveva avvenire nel dialogo con le lingue e le culture di ciascun popolo, avviene anche grazie alla guarigione miracolosa di un indigeno, Sorino Yanomami, un non cristiano, che vive appunto nel Roraima, vasta regione in cui il Vangelo è entrato soprattutto grazie alla congregazione della Consolata. Di quel fatto, suor Maria è testimone diretta.

La guarigione miracolosa di Sorino Yanomani. Ecco il suo racconto: “In quel giorno l’indigeno Sorino Yanomami si trovava nel cuore della foresta amazzonica, a un’ora di aero-taxi dalla capitale Boa Vista. Venne aggredito da un giaguaro. Riuscì ad allontanare l’animale e da solo, tutto insanguinato, senza svenire, riuscì ad arrivare alla sua maloca, alla casa comunitaria. Qui, comincia il miracolo. Se lui fosse svenuto, il giaguaro l’avrebbe trascinato e sbranato. Contro la volontà degli sciamani e della sua tribù, l’infermiera, suor Felicita riuscì far valere i suoi principi a favore della vita, e a chiamare attraverso il telefono l’aero-taxi,per portare il ferito all’ospedale di Boa Vista. Tutti gli uomini Yanomami erano contro di lei, perché, vedendo come era conciato, dicevano che nello stesso giorno Sorino sarebbe morto, e il corpo sarebbe stato appeso nella foresta”.

Sorino giunse, infine, all’ospedale. “Fu accompagnato, sia di giorno e di notte, da noi suore. In caso contrario, sarebbe morto,perché la sua condizione era molto grave. A dire la verità, io non l’ho solo accompagnato in ospedale e assistito, ma ho sofferto con lui. Nel vederlo in quella condizione, non riuscivo a trattenere le lacrime. Quando è tornato alla Missione io gli ho detto: ‘Sorino, chi ti ha visto e chi ti vede adesso…!’ E lui mi ha risposto, semplicemente: ‘Maria piangeva…’. Dopo 28 anni siamo qui a raccontare la storia di Sorino e lui vive ancora con la sua comunità, lungo il fiume Catrimani”.

L’amore di Dio arriva a tutti i popoli. È dom Vanthuy Neto a offrire ulteriori chiavi di lettura all’accaduto. Da pochi mesi, è vescovo della diocesi più indigena del mondo, São Gabriel da Cachoeira, ma è originario della diocesi di Roraima, ed è docente di Storia dell’Amazzonia. “Va sottolineato che Sorino non è cristiano – spiega al Sir -. La missione Catrimani è soprattutto una missione di dialogo, sperimentata in una prospettiva di fraternità, seguendo alcune intuizioni del documento conciliare Ad gentes. Il messaggio del miracolo, mi sembra è che Dio arriva con la sua grazia a tutti i popoli, soprattutto ai più fragili. La scienza non spiega la sua guarigione. Dio fa il suo bene a un popolo, a una persona, lo fa in modo sovrabbondante. È molto bello vedere cheDio che va incontro a un popolo e alle sue tradizioni religiose. Dio è annunciato a Gesù Cristo, il miracolo va in questa prospettiva, dentro la spiritualità indigena. Papa Francesco chiede di scoprire i semi di santità di questi popoli, nella prospettiva di un’ecologia integrale, come ha scritto nell’esortazione Querida Amazonia. Insomma, una grazia per l’indigeno Sorino Yanomami, ma anche per tutto un popolo, e per i missionari della Consolata, con il loro peculiare stile missionario basato sul dialogo culturale e religioso: “Il rapporto con il divino passa per la terra, per il territorio. I missionari sono entrati nel territorio, si sono dedicati alla causa della terra, alle rivendicazioni per la terra. Pensiamo alle battaglie per Yanomami e per le etnie di Raposa Sierra do Sol”.

Contributo all’evangelizzazione in tutto il Continente. Il discorso, necessariamente, si allarga all’importanza decisiva dei missionari e delle missionarie della Consolata per l’evangelizzazione di questo lembo di Amazzonia. “Sono arrivati dopo il 1942 – prosegue dom Neto -. In particolare, dopo il Concilio Vaticano II, hanno iniziato a promuovere la dignità degli indigeni, ad aiutarli a passare ‘dalla morte alla vita’. Il loro grande lavoro è di aver creato nei cuori degli indigeni la coscienza della loro dignità, e di quella dei loro popoli, degli anziani, dei giovani,aver spiegato loro che avevano uguali diritti. Il cammino di evangelizzazione portato avanti dai padri della Consolata è stato ispirato dalla Popolorum progressio, e ha aiutato queste popolazioni a passare a una condizione più umana. Prima di allora, l’evangelizzazione era vista solo come catechesi e la vita sacramentale. Ma il contributo della Consolata si allarga a tutta l’America Latina, con grandi esperienze, collegate alla teologia del continente, alla stagione delle Conferenze di Medellín ePuebla, della teologia della Liberazione. C’è stato un grande lavoro formativo con i laici, e i padri della Consolata hanno rappresentato una grande scuola vocazionale. Il loro lavoro è stato, soprattutto a favore della vita, in tutte le sue espressioni”.

Può ben affermare, insomma, l’attuale vescovo di Roraima, dom Evaristo Spengler: “L’annuncio della canonizzazione del Allamano è un momento di giubilo per la Famiglia della Consolata, di consolidamento dell’opzione evangelizzatrice della missione Catrimani, di conferma della storia di alleanza della nostra diocesi di Roraima con i popoli indigeni e è un motivo di benedizioni e speranze per la nostra Diocesi”.

Conclude suor Maria da Silva: “Noi, suore Missionarie della Consolata, ci siamo impegnate a passare nelle parrocchie, comunità, nelle aree missionarie, per parlare dell’Allamano e del miracolo accaduto in questa diocesi, abbiamo fatto molti incontri in questo periodo”. Le religiose sono confermate nelle direttrici della loro missionarietà, che confermano l’attualità delle intuizioni di Giuseppe Allamano: “Con questo miracolo attribuito alla sua intercessione, il fondatore dimostra di accompagnare i missionari, le missionarie e tutta la Chiesa in uno stile di missione universale, audace e prudente, aperta all’incontro e al dialogo con le culture e i popoli”.

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