Un cuore da “riparare”

Il cuore di Gesù chiede adoratori, cioè uomini e donne capaci di interiorità, di preghiera come fede interiorizzata, di silenzio, di visione; chiede agenti di misericordia, che non permettano all’amore di perdere la “smisurata misura” del cuore di Dio

(Foto archivio)

Cuore di Gesù. Difficile da immaginarsi è il cuore di Dio; non abbiamo facoltà naturali tali da poterne penetrare portata e mistero. A ben vedere, più che conoscerlo, noi il cuore di Dio lo ri-conosciamo nel ministero di Gesù, nella Sua esistenza terrena e nella Sua umana incarnazione. In Gesù è rivelata l’originalità prototipica del cuore di Dio. Tutti i Vangeli sono, in fondo, lo svelamento del cuore amante di Dio. Gesù stesso, in una sorta di cardiognosi di sé, dirà: “Nessuno ha un amore più grande del mio” (cf Gv 15, 13). Come dire, non è dato ad altro cuore umano di potersi misurare o commisurare al cuore di Dio.
Il cuore che Santa Margherita Maria Alacoque “vide”, profeticamente, mentre adorava l’Eucarestia, non lascia spazio a suggestioni interpretative: è un cuore infiammato, circondato da una corona di spine, squarciato da una ferita e con una croce piantata sopra. Un cuore che soffre, che somiglia al nostro e che, come il nostro, lamenta le tante non corrispondenze d’amore, quelle che la vita ci riserva, spesso affiancate dall’ingratitudine delle persone più vicine, care, con cui condividiamo tempo e spazi.

Dunque, un cuore umano, eppure divino; un cuore che rivela il valore salvifico della sofferenza, di un amore che non cessa di essere divino, anche quando è crocifisso e reso impotente dalle offese ricevute e subite.

Giova ricordare che, facendole vedere il Suo cuore, Gesù chiedeva alla Santa di “riparare”. Anche a Francesco d’Assisi, Gesù chiese di “riparare la Chiesa”. Oggi, Papa Francesco chiede a tutti gli uomini di buona volontà di “riparare il cuore” delle istituzioni umane, malate di egolatria e anestetizzate dinanzi al male che, come un tarlo, le corrode e le consuma dentro.
“Riparare”. Dunque, rifare. Rifare cristiane le nostre relazioni, cristiane le nostre aspirazioni, i nostri slanci di condivisione, i nostri stili di vita, i nostri orizzonti futuri.
“Riparare”. Parola che impone la fatica e l’umiltà di ricominciare ad amare tutto ciò che non è amato, che interpella un nuovo impegno spirituale e culturale, per ritessere i fili recisi di una tela che non ha più nell’amore il solo, vero “vincolo sociale” che tiene in piedi la storia.
“Riparare”. Parola che impone un nuovo slancio di fede, in una stagione che alle “vampe di fuoco” purificatore del cuore di Gesù sembra aver contrapposto i fuochi d’artificio di un’amoralità insensata, che spaccia il male minore per bene comune accettabile, che potabilizza il male e avvelena il bene; oppure i fuochi guerreggianti di armi che uccidono, da cui non potrà mai essere generata vita, quella vita buona e giusta che manca in ogni angolo ricco e povero del mondo.

Il cuore di Gesù chiede adoratori, cioè uomini e donne capaci di interiorità, di preghiera come fede interiorizzata, di silenzio, di visione; chiede agenti di misericordia, che non permettano all’amore di perdere la “smisurata misura” del cuore di Dio.

Guardando a questo cuore, ciascuno di noi può davvero dire: “io valgo quanto vale il mio cuore”, specie se è a corto di amore di offerta, di amore di amicizia, di amore di donazione, di amore di servizio?
Oggi ci è dato di “riparare”, a partire dal nostro cuore.

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