Cosa ci insegna il popolo della missione?

Il Festival della missione svoltosi a Milano, volto di una “Chiesa in uscita”, ha richiamato un gran numero di partecipanti utilizzando un rinnovato vocabolario, civile ed ecclesiale, che pone al centro della riflessione pubblica pace, solidarietà, sviluppo sostenibile, diritto a emigrare, democrazia come “patrimonio fragile” e fratellanza universale

Foto Festival della Missione

I numeri non dicono tutto, ma le 30mila persone coinvolte dal e nel Festival della Missione avranno pure un significato. Così come i 150 testimoni, i 200 volontari, le decine di appuntamenti tenutisi nel giro di quattro giorni. Dal 29 settembre al 2 ottobre Milano ha accolto il grande evento missionario attorno alle centralissime Colonne di San Lorenzo, in alcuni luoghi della movida cittadina, per terminare con la messa in Duomo e il concerto in piazza Vetra. Dibattiti, momenti di preghiera, presentazioni di libri, mostre, laboratori, stand con riviste, aperitivi dialoganti… La missione è scesa in piazza nella metropoli senza complessi di inferiorità, con la voglia di raccontarsi e di porsi in ascolto.
Cosa rimane, ora, del Festival promosso dalla Fondazione Missio e dal Cimi, in collaborazione con la diocesi ambrosiana?
Certamente l’entusiasmo di chi ha collaborato a vario titolo per organizzare e rendere l’evento milanese un momento, disteso e piacevole, di incontro tra chi opera in terre lontane per portare semi di vangelo, chi lo fa nei centri missionari diocesani, chi è al servizio di una pastorale “ordinaria” – in parrocchie, diocesi, associazioni, istituti religiosi – chiamata a ripensarsi alla luce della “Chiesa in uscita” predicata da Papa Francesco. La comunità cristiana, in Italia e in ogni angolo della terra, fa i conti con la dinamicità di questo tempo, domandandosi – senza remore né ritardi – come proseguire l’impegno di portare parole e fatti di speranza evangelica a ogni popolo nei cinque continenti.
Il Festival consegna, inoltre, la consapevolezza di scoprirsi “terra di missione”, ovvero realtà che necessita di donne e uomini che amano Gesù, provando ad animare – sulla sua Parola – questo nostro mondo, ponendosi al servizio dell’esistenza quotidiana (famiglia, lavoro, scuola, cultura, volontariato, politica…) nel segno della fraternità e del “farsi prossimo”.
Dalle giornate milanesi si raccoglie, non di meno, l’indicazione di un rinnovato vocabolario, civile ed ecclesiale, che pone al centro della riflessione pubblica la pace, la solidarietà, lo sviluppo sostenibile, le migrazioni e il diritto ad emigrare, la democrazia come “patrimonio fragile”, la promozione dei diritti e della giustizia sociale quale impegno comune e senza confini. In epoca di bellicismo diffuso, di nazionalismi egoisti, di liberismo imperante, il mondo missionario è segno tangibile della volontà di superare le frontiere, scoprendo nei più fragili le prime persone cui dedicarsi, le famiglie da tutelare, il lavoro da promuovere, l’istruzione su cui investire. Così pure la povertà da contrastare, la fame da nutrire, la malattia da curare. Una sola umanità, tutti figli di Dio, eguali pur nelle differenze territoriali, storico-culturali, religiose.
“Vivere per Dono” era il titolo del Festival, che rimane come consegna e impegno. Perché è ancora – e sempre – “tempo di mettersi in cammino come discepoli missionari per annunciare con la vita la Buona notizia del Regno”.

(*) direttore di “Popoli e Missione”

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