Papa in Canada: “Mai più abusi, diventare strumenti di riconciliazione e di pace”

Nella quarta giornata in Canada, il Papa ha chiesto ancora una volta perdono alle vittime di abusi sessuali e ha indicato la strada dal fallimento alla speranza, che passa per la "credibilità" della testimonianza

(Foto Vatican Media/SIR)

”Il dolore e la vergogna che proviamo deve diventare occasione di conversione: mai più!”. Dalla cattedrale di Notre Dame a Québec, il Papa ha concluso la parte pubblica della sua quarta giornata in Canada con una nuova richiesta di perdono per tutte le vittime di abusi sessuali –  “scandali che richiedono azioni forti e una lotta irreversibile” – e un forte monito, riferito al “cammino di guarigione e riconciliazione con i fratelli e le sorelle indigeni”:

“Mai più la comunità cristiana si lasci contaminare dall’idea che esista una superiorità di una cultura rispetto ad altre e che sia legittimo usare mezzi di coercizione nei riguardi degli altri”.

“Quando il fallimento lascia spazio all’incontro con il Signore, la vita rinasce alla speranza e possiamo riconciliarci: con noi stessi, con i fratelli, con Dio”. Nell’omelia della Messa al Santuario nazionale di Sainte-Anne-de-Beauprè, Francesco ha indicato questa strada, “mentre siamo afflitti da diverse prove spirituali e materiali, mentre cerchiamo la strada verso una società più giusta e fraterna, mentre desideriamo riprenderci dalle nostre delusioni e stanchezze, mentre speriamo di guarire dalle ferite del passato e riconciliarci con Dio e tra di noi”.

“Non permettiamo che alcuna ideologia alieni e confonda gli stili e le forme di vita dei nostri popoli per cercare di piegarli e di dominarli”,

il monito sulla scorta del primo vescovo canadese, Saint François de Laval, figura-chiave del rapporto con gli indigeni, davanti alla cui statua il Papa si è raccolto in preghiera al termine dei Vespri nella cattedrale di Notre Dame: “Ma per sconfiggere questa cultura dell’esclusione occorre che iniziamo noi: i pastori, che non si sentano superiori ai fratelli e alle sorelle del popolo di Dio; gli operatori pastorali, che non intendano il loro servizio come potere. Si inizia da qui. Voi siete i protagonisti e i costruttori di una Chiesa diversa: umile, mite, misericordiosa, che accompagna i processi, che lavora decisamente e serenamente all’inculturazione, che valorizza ognuno e ogni diversità culturale e religiosa”. “La Chiesa sarà credibile testimone del Vangelo quanto più i suoi membri vivranno la comunione, creando occasioni e spazi perché chiunque si avvicini alla fede trovi una comunità ospitale”, la ricetta di Francesco, che ha esortato i vescovi canadesi a

“vivere una comunità cristiana che diventa scuola di umanità, dove si impara a volersi bene come fratelli e sorelle, disposti a lavorare insieme per il bene comune”.

“La Chiesa è chiamata a incarnare questo amore senza frontiere, per costruire il sogno che Dio ha per l’umanità: essere fratelli tutti”, ha ribadito il Papa: “Questa è la via: promuovere relazioni di fraternità con tutti, con i fratelli e le sorelle indigeni, con ogni sorella e fratello che incontriamo, perché nel volto di ognuno si riflette la presenza di Dio”.

Credibilità, la parola d’ordine della Chiesa, che implica la capacità di fuggire uno “sguardo negativo” sul mondo e di saper discernere tra secolarizzazione e secolarismo.  “Lo sguardo che discerne, mentre ci fa vedere le difficoltà che abbiamo nel trasmettere la gioia della fede, ci stimola a ritrovare una nuova passione per l’evangelizzazione, a cercare nuovi linguaggi, a cambiare alcune priorità pastorali, ad andare all’essenziale”, ha spiegato Francesco, precisando che

lo “spirito da crociata” non è cristiano.

“Nei deserti spirituali del nostro tempo, generati dal secolarismo e dall’indifferenza, è necessario ritornare al primo annuncio”, l’indicazione di rotta: “bisogna essere credibili”, perché il Vangelo “si annuncia in modo efficace quando è la vita a parlare”.

E tra le esperienze della vita, c’è anche quella del fallimento, ha detto il Papa nell’omelia della Messa al Santuario nazionale di Ste-Anne-de-Beaupré. Anche la Chiesa, “pur essendo la comunità del Risorto, può trovarsi a vagare smarrita e delusa dinanzi allo scandalo del male e alla violenza del Calvario. Essa allora non può fare altro che stringere tra le mani il senso del fallimento e chiedersi: che cosa è successo? Perché è successo? Come è potuto succedere?”. “Sono le domande che ciascuno di noi pone a sé stesso; e sono anche gli interrogativi scottanti che questa Chiesa pellegrina in Canada sta facendo risuonare nel suo cuore in un faticoso cammino di guarigione e di riconciliazione”.

“Non c’è cosa peggiore, dinanzi ai fallimenti della vita, che quella di fuggire per non affrontarli”, osserva Francesco, mettendo in guardia dalla “tentazione della fuga:

fare la strada all’indietro, scappare dal luogo dove i fatti sono avvenuti, tentare di rimuoverli, cercare un posto tranquillo come Emmaus pur di non pensarci più”. “È una tentazione del nemico, che minaccia il nostro cammino spirituale e il cammino della Chiesa”, il monito del Papa: “vuole farci credere che quel fallimento sia ormai definitivo, vuole paralizzarci nell’amarezza e nella tristezza, convincerci che non c’è più niente da fare e che quindi non vale la pena di trovare una strada per ricominciare”. Il Vangelo ci rivela, invece, che “proprio nelle situazioni di delusione e di dolore, proprio quando sperimentiamo attoniti la violenza del male e la vergogna della colpa, quando il fiume della nostra vita si inaridisce nel peccato e nel fallimento, quando spogliati di tutto ci sembra di non avere più nulla, proprio lì il Signore ci viene incontro e cammina con noi”, come a Emmaus. Lungo la strada di ritorno dal Santuario, Francesco – fuori programma – si è fermato ad incontrare gli ospiti del Centro di accoglienza e spiritualità Fraternité St Alphonse, che accoglie circa 50 persone, tra cui anziani, persone che soffrono di varie dipendenze e malati di HIV/AIDS.

 

 

 

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