Mons. Satriano (Missio): “Il missionario appartiene a Cristo e all’umanità”

Quattro giornate di formazione e spiritualità promosse dalla Fondazione Missio (organismo pastorale della Cei) ad Assisi. L'arcivescovo di Bari: “relegare la missione a un atteggiamento di alcuni specialisti mi pare sia sbagliato; i veri centri missionari dovrebbero diventare anche i nostri centri pastorali, gli uffici catechistici, le parrocchie…". Numerosi i partecipanti, i relatori e le testimonianze da ogni angolo del mondo

“Le giornate qui ad Assisi ci stanno ridando tanta speranza e gratitudine per chi, facendo della propria vita un dono, ci riconsegna l’orizzonte dell’umano, verso il quale dirigere i nostri cuori”. Mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto, è presidente della Fondazione Missio: si trova ad Assisi dove sta seguendo le quattro Giornate nazionali di formazione e spiritualità missionaria (Domus Pacis, 26-29 agosto), sul tema “Testimoni e profeti. Missionari di speranza”. Articolato il programma, con una serie di relazioni e interventi per approfondire il tema generale “Testimoni e profeti. Missionari di speranza”.

Oltre 200 partecipanti. “La finalità di queste Giornate di formazione e spiritualità è preparare gli animatori missionari sul tema del prossimo ottobre missionario”. Don Giuseppe Pizzoli, direttore della Fondazione Missio (organismo pastorale della Cei), chiarisce al Sir l’obiettivo dei lavori in corso, che vedono presenti 90 iscritti ad Assisi, cui si aggiungono 120 partecipanti on line. “Una riflessione profonda sull’essere missionari di speranza è venuta dai relatori, che – prosegue don Pizzoli – hanno portato contributi molti apprezzati. A partire dalle lectio, tenute da Laura Verrani, che ha attualizzato e reso ‘concreti’ i testi biblici. Abbiamo poi avuto interventi, altrettanto apprezzati dall’arcivescovo di Bari e presidente di Missio, mons. Satriano, da don Marco Galante, cappellano degli Ospedali riuniti di Padova, dalla teologa Emanuela Buccioni, dal pastoralista mons. Ezio Falavegna”. Oggi il convegno è proseguito con la relazione di don Antonio Scattolin (“La profezia artistica di un pulpito medioevale”) e una tavola rotonda con “il linguaggio dei vissuti”, con tre testimonianze: la saveriana suor Maria Angela Bertelli, il fidei donum don Giovanni Piumatti, i coniugi Patrizia e Vincenzo Petruzzi che, dopo aver perso un figlio giovanissimo, hanno scoperto la fede. A seguire l’intervento di Mario Menin, missionario saveriano, direttore di “Missione oggi”. Le giornate si concludono domani, domenica 29 agosto, con la celebrazione eucaristica, la lectio e alcune osservazioni per rilanciare gli argomenti sollevati da parte di don Pizzoli.

Vangelo, termine di confronto. Mons. Satriano spiega: “stiamo vivendo un convegno nutrito di parole, che ci consegna anche degli itinerari e dei percorsi, dei processi da attivare, soprattutto quello della speranza”. “Una speranza che nasce dalla consapevolezza che nel mondo, oltre agli alberi che cadono, ci sono foreste che crescono. Ne abbiamo avuto contezza nelle lectio, nelle testimonianze di vita e negli interventi che abbiamo ascoltato”. Voci che “ci fanno cogliere con chiarezza come un percorso di speranza nasce lì dove la vita si apre all’umano, a quell’umano redento da un amore grande quale quello del Cristo”. Il vangelo “diventa il termine di confronto con cui poter camminare in questo tempo non semplice, con un atteggiamento consegnato alla Parola”, restituendo “speranza all’umanità, a questo mondo ferito e lacerato”.

Confini esistenziali. Il vescovo aggiunge: “Credo che quando parliamo di missione il pensiero vada subito a chi è distante da qui e dà la sua vita per gli altri in terre lontane. Ma oggi queste esperienze che abbiamo ascoltato ci riportano in una dimensione molto ravvicinata, perché ci accorgiamo come quel mondo, che i missionari hanno visitato e amato, oggi è accanto, dentro casa nostra. E quindi i confini del mondo non sono più geografici ma sono esistenziali”. Allora “relegare la missione a un atteggiamento di alcuni specialisti mi pare sia sbagliato; i veri centri missionari dovrebbero diventare anche i nostri centri pastorali, gli uffici catechistici, le parrocchie… Cioè tutta la Chiesa è chiamata a lasciarsi innervare da una passione per l’uomo e da una capacità di mettersi in gioco, perché il missionario è colui che si fa toccare dall’amore di Dio e dal vangelo e poi lascia che la sua stessa vita appartenga realmente a Cristo e all’umanità”.

 

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