Chiara Lubich e Simone Weil. Di Nicola (sociologa): “Due donne che hanno segnato il Novecento”

"È impossibile restare indifferenti: o si amano o si rifiutano". La sociologa Giulia Paola Di Nicola non usa mezzi termini, nel tratteggiare convergenze e differenze tra Chiara Lubich e Simone Weil, emerse durante il convegno "Oltre il 900. Chiara Lubich e il suo tempo". L'ipotesi, suggestiva, è quella di una sorta di "passaggio di testimone" tra le due donne

“È solo una coincidenza che l’anno della morte di Simone Weil, il 1943, sia quello della nascita del Movimento dei Focolari?”. A lanciare la provocazione è la sociologa Giulia Paola Di Nicola, docente all’Università di Chieti, intervenuta al convegno “Oltre il 900. Chiara Lubich in dialogo con il nostro tempo”, svoltosi in via telematica per iniziativa del Movimento dei Focolari. Secondo la relatrice, si tratta di una sorta di un “passaggio di testimone”, testimoniato da convergenze e differenze significative.

Cosa hanno in comune, e in cosa si distinguono, Chiara Lubich e Simone Weil?

Sono due donne che hanno segnato il Novecento sollecitando a riformulare le categorie dominanti. E’ impossibile restare indifferenti: o si amano o si rifiutano.

Non si sono conosciute né hanno condiviso eventi epocali quali il Concilio e le nuove tecnologie.  Simone nasce nel 1989 da famiglia ebrea borghese, di ampia cultura, rigorosamente agnostica. La sete di verità e di giustizia la conduce alla spogliazione di sé, fino all’incontro inaspettato col Cristo. Chiara nasce nel 1920 da madre dalla fede granitica dei trentini, padre tipografo socialista. Il Vangelo la conduce ad una illuminazione carismatica da cui scaturirà un movimento ecumenico: una delle novità più incisive del nostro tempo. La verità coincide per lei col Cristo delle Scritture. Per Simone è ricerca di semi di sapienza sparsi in tutte le culture. Chiara mette “i libri in soffitta”, Simone li divora e sforza al massimo l’intelligenza fino a quelle contraddizioni che fungono da baluardo alla superbia della ragione e al panteismo dalla fede. Chiara sceglie Dio. Simone viene “presa” dal Cristo. Chiara è circondata da uno stuolo di sorelle e fratelli. Quando muore (88 anni, 2008), il funerale è un trionfo, Simone ha pochi amici. Al suo funerale (34 anni, 1943), vanno sette persone. Il prete non arriva n tempo.  Entrambe fanno esperienze travolgenti della guerra. Chiara assiste al crollo degli ideali e fa la scelta definitiva di Dio-amore. Simon, pacifista per natura, giunge a supplicare l’amico M. Schuman di utilizzarla in azioni di sabotaggio contro il nazismo. Entrambe manifestano una speciale coerenza di pensieri e comportamenti, tra mistica e impegno socio-politico.

E il loro rapporto con la Chiesa?

Chiara poggia la sua obbedienza su “chi ascolta voi ascolta me”, Simone è critica nei confronti di dogmi e istituzioni se pretendono di imbrigliare il pensiero. Chiara si nutre sin da piccola dei sacramenti; Simone ne rimane volontariamente priva, pur vivendo esperienze mistiche ignote alla maggior parte dei credenti. Per entrambe, quando mancassero la gerarchia a ei sacramenti, resterebbe sempre l’amore e l’obbedienza alle ispirazioni dello Spirito. Chiara afferma di non aver mai “scritto libri”, pubblicati invece dai suoi. Simone, a parte qualche articolo, ha lasciato innumerevoli appunti resi pubblici post mortem da S. Camus, Padre Perrin, i genitori, G. Thibon, S. Petrément. Chiara distribuisce a tutti le ispirazioni attraverso la rete del movimento. Simone ha una vocazione più elitaria, benché dopo la morte continui ad attirare ammiratori a livello planetario.

Entrambe avvertono l’esigenza di una santità nuova, per Chiara “collettiva”, basata sull’amore reciproco, per Simone “geniale”, “una nuova rivoluzione dell’universo”.

Sia in Simone che in Chiara prevale una visione di fede incarnata, che vede nel Crocifisso e in Gesù abbandonato il simbolo più eloquente del rapporto con Cristo.

L’incarnazione è un mistero che affascina entrambe. Senza la parabola discendente di Dio, il Vangelo evapora nello spiritualismo e i cristiani divengono insipienti, avverte Simone: Un cristiano, tanto più se mistico, deve dapprima disincarnarsi, poi incarnarsi. Nei cosiddetti “Paradisi del 1949”, Chiara racconta: “Naturalmente, non saremmo più scese da quella montagna se la volontà di Dio non fosse stata diversa”. Sia per Simone che per Chiara, l’incarnazione obbliga all’amore universale. Quando parla di sé, Simone precisa: “Ho il bisogno essenziale – e credo di poter dire ‘vocazione’ – di passare tra gli uomini confondendomi con essi, scomparendo fra loro, per far sì che si mostrino quali sono. Perché se non li amo come sono, non sono loro che amo e il mio amore non è vero”. Viene alla mente una delle più belle meditazioni di Chiara: “Ecco la grande attrattiva del tempo moderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti. Perdersi nella folla, per informarla del divino, come s’inzuppa un frusto di pane nel vino”. Simone è impressionata dalla frase di Gesù: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). E’ convinta che i rapporti interpersonali hanno nel Cristo il terzo, quella mediazione tra unità e distinzione che i Greci hanno tanto cercato nella logica matematica e filosofica. Chiara fa della stessa frase di Matteo un caposaldo della spiritualità, spiegandola come unità di persone che, non vivendo più per sé stesse ma l’una per l’altra, generano Cristo tra loro e vengono da Lui innestati nella vita trinitaria.

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