Epifania: quali sono i nostri preziosi doni?

Dinnanzi a questa bellezza che la liturgia ci propone e che l’insegnamento secolare della Chiesa ci tramanda, siamo incapaci di cogliere il bagliore della stella, di lasciarci guidare e lasciare che la nostra mente e il nostro cuore ne siano inondati. Possiamo anche apprendere la prostrazione, non quella fisica, forse per noi ginnica, ma quella dell’animo che esplode, stupefatto, nella lode all’Altissimo

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

La gloria dell’Altissimo che pervade tutto il Primo Testamento, dal suo risplendere nel roveto incandescente apparso a Mosè, al monte Sinai nella nube e nel fuoco, alla chiamata di Ezechiele fra lampi luminosi, è segno della salvezza che il Creatore dona al popolo di Israele.

La meraviglia dell’attesa della restaurazione di Gerusalemme colma il cuore dei fedeli nei secoli di un’attesa trepida e stupita.

Anche i salmi annunciarono l’arrivo dei cammelli, carichi di oro e di incenso: forestieri avrebbero onorato e lodato l’Altissimo.
Matteo riprende questo lascito secolare impresso nella sua memoria di israelita e narra nel suo oggi che può diventare, se lo vogliamo, il nostro oggi, l’arrivo dei Magi cioè dei membri della casta sacerdotale di Zoroastro, esperti in arti occulte. Gente orientale che, per la tradizione biblica, godeva di fama di essere sapiente.
Lascia sgomenti dinanzi alla solenne tradizione e al fenomeno della stella che li guida – una supernova, una cometa, una congiunzione di pianeti? – perché un grande personaggio quando nasceva era annunciato, per gli antichi, dall’apparire di una stella, il loro approdo: un neonato. Non un grande guerriero, non un imponente regnante.

Eppure, proprio dinanzi ad una povera e qualsiasi umanità (in apparenza) questi sapienti, ricchi e probabilmente potenti, si inginocchiano, si prostrano, in un gesto messianico, con le braccia allungate e il volto a terra. Così apertamente dicono: questo bimbo è il Signore. Magi, cioè pagani, lo adorano. Non come in Oriente si adoravano gli dei e anche i re ma come, nell’annuncio dato al popolo eletto, ci si prostrava al tanto atteso Messia.

Perché il bimbo è il figlio di Davide, il figlio di Dio, Gesù, l’Emmanuele il Dio con noi.
Ecco svelato il significato di Epifania che, in greco, significa qualche cosa che appare, che splende della luce dell’Altissimo che si rivela: il Suo stesso mistero, nascosto alla vista umana, ora sfolgora, superando ogni possibile percezione umana.
Dinnanzi a questa bellezza che la liturgia ci propone e che l’insegnamento secolare della Chiesa ci tramanda, siamo incapaci di cogliere il bagliore della stella, di lasciarci guidare e lasciare che la nostra mente e il nostro cuore ne siano inondati.

Possiamo anche apprendere la prostrazione, non quella fisica, forse per noi ginnica, ma quella dell’animo che esplode, stupefatto, nella lode all’Altissimo.

Doni di alto valore quelli offerti dai Magi che non conoscono le Scritture d’Israele ma cercano e sono sensibili al Dio che si rivela nel cuore dell’uomo.
Quali i nostri preziosi doni?
Se l’oro abbellisce il Tempio, non possiamo abbellire la nostra chiesa vivente con il grido dell’annuncio?
Se l’incenso- il lebanon- si innalza, come può non innalzarsi la nostra preghiera?
Se la mirra, resina odorosa, avvolge i corpi dei morti, non possiamo già intravvedere Colui che per noi morrà ma sarà il Risorto?
E noi che Magi non siamo ma credenti sì, prepariamo i doni e ci banalizziamo nella festa della Befana?

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