Giornata migrante e rifugiato. Mons. Di Tora: “50 milioni di sfollati nel mondo. Non sono numeri vuoti, ma persone”

Il titolo di questa 106ª Giornata mondiale del migrante e rifugiato, che si celebra domenica 27 settembre, è “Come Gesù Cristo costretti a fuggire: accogliere, proteggere, promuovere, integrare gli sfollati interni”. Ancora una volta Papa Francesco porta l’attenzione del mondo intero su coloro che sono costretti a fuggire, seppur all’interno della stessa regione, nazione, o in paesi vicini. Sono le stesse cause: fame, guerra, siccità, ecc. che spingono mamme, papà, bambini e giovani ad abbandonare la propria casa, il loro territorio, sradicarsi dalla loro provenienza, egualmente in pericolo di rifiuto o emarginazione, nella ricerca di una via di sopravvivenza

(Foto ANSA/SIR)

Il titolo di questa 106ª Giornata mondiale del migrante e rifugiato, che si celebra domenica 27 settembre, è: “Come Gesù Cristo costretti a fuggire: accogliere, proteggere, promuovere, integrare gli sfollati interni”. Ancora una volta papa Francesco porta l’attenzione del mondo intero su coloro che sono costretti a fuggire, seppur all’interno della stessa regione, nazione, o in paesi vicini. Sono le stesse cause: fame, guerra, siccità, ecc. che spingono mamme, papà, bambini e giovani ad abbandonare la propria casa, il loro territorio, sradicarsi dalla loro provenienza, egualmente in pericolo di rifiuto o emarginazione, nella ricerca di una via di sopravvivenza.

Si stima che nel mondo gli sfollati interni siano oltre 50 milioni!

Cifra da capogiro se si pensa che non sono numeri vuoti ma persone: dietro ogni singola cifra c’è un essere umano, creato a immagine di Dio e che dovrebbe avere gli stessi diritti e doveri di ognuno di noi. La situazione oggi è ancora più grave, perché alle consuete ragioni si aggiunge la piaga della pandemia; e se coloro che fuggono sono già ignorati, oggi costoro vivono il dramma ancora più grave del silenzio e della dimenticanza totale. Da qui il giusto, grave ed umano richiamo del Papa “per iniziative ed aiuti internazionali, essenziali e urgenti per salvare vite umane”. Il messaggio è esteso anche a coloro che vivono la precarietà ed emarginazione a causa del “Covid 19”.

Il testo si apre con una icona tipica della cristianità, la famiglia di Nazareth: Gesù, Giuseppe e Maria che devono fuggire per far scampare dalla morte il bambino Gesù. Quante immagini vediamo ogni giorno di mamme in fuga con il loro figlioletto in braccio! Anche il Signore Gesù ha vissuto questa condizione. Il Santo papa Paolo VI, parlando della Madonna, ricordava Maria come “donna forte che ha provato la fuga e l’esilio”. E che dire di Giuseppe, chiamato a proteggere “ciò che di più caro al mondo Dio gli aveva affidato”. L’icona ci aiuta a riconoscere il Signore Gesù ancora presente in mezzo a noi: “Venite benedetti dal Padre mio….ero forestiero e mi avete accolto”. Partendo da questa introduzione il Papa riprende i quattro verbi con cui aveva coniugato la pastorale migratoria, articolandoli in nuove azioni concrete di sei coppie di verbi: conoscere per comprendere, farsi prossimo per servire, ascoltare per riconciliarsi, condividere per crescere, coinvolgere per promuovere, collaborare per costruire. Un crescendo di impegno con una relazione di causa nei vari passaggi, che costituiscono una vera ascesi umana anche per chi non si riconosce nella fede o nell’esperienza cristiana.

Per comprendere bisogna prima conoscere: sono persone provate dal dolore e che forse hanno visto in faccia la morte. Conoscendo le loro storie potremo come il buon samaritano metterci al loro fianco, sentire dalla viva voce l’esperienza della precarietà, della fuga, accompagnata oggi dalla pandemia. Purtroppo tante volte le paure e i pregiudizi ci impediscono di avvicinarci agli altri, anche correndo dei rischi. Quanti belli e nobili esempi abbiamo avuto in questo tempo di pandemia da medici, infermieri, volontari, da persone semplici e nascoste che hanno messo nel carrello della “spesa sospesa” parte del loro acquisto. Papa Francesco sottolinea poi che “l’amore, quello che riconcilia e salva, inizia con l’ascolto”. Oggi sentiamo tanti messaggi che ci bombardano in continuazione; ma ascoltare è un’altra cosa. Lo insegnava già San Benedetto ai suoi monaci: ascoltare è far entrare e conservare dentro di noi. Il silenzio che “per settimane ha regnato nelle nostre strade” ci ha offerto l’occasione di percepire il grido dei dimenticati, dei più vulnerabili, degli scarti di questa nostra società. Questo ascolto può condurci ad una vera crescita, condividendo. Non si può lasciar fuori nessuno. La pandemia stessa ci ha richiamato a preoccupazioni e timori comuni ricordandoci che nessuno si salva da solo! Il successivo passo lega altri due verbi: coinvolgere e promuovere. La corresponsabilità diventa il modo per coinvolgere le persone alle quali si offre assistenza. Ognuno deve essere protagonista in questo processo comunitario e sociale. Qui il Papa riporta le sue bellissime parole del 27 marzo nella “preghiera per il momento straordinario in tempo di pandemia”: “trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità e solidarietà”. Il culmine di questa ascesi diventa il collaborare e costruire. Azioni certamente decisive per un impegno di cooperazione internazionale, che chiede di superare gelosie, discordie, interessi parziali o nazionali e realizzare quella solidarietà globale, speranza di un tempo nuovo che possa realizzare il Regno di Dio nel mondo e trasformare la nostra storia umana in una storia di salvezza.

(*) presidente Commissione episcopale per le Migrazioni della Cei e presidente Fondazione Migrantes

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