Perdonanza Celestiniana. Card. Zuppi: “Riconciliarsi per affrontare le grandi sfide sociali ed economiche”

In occasione della Perdonanza Celestiniana, che si celebra a L'Aquila il 28 e 29 agosto, il settimanale "Vola" ha intervistato il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna

Eminenza, il prossimo 28 agosto sarà a L’Aquila in occasione dell’indulgenza concessa da papa Celestino V, detta ‘Perdonanza Celestiniana’. Lei è pronipote dell’Arcivescovo dell’Aquila, Carlo Confalonieri, poi divenuto Cardinale nella Curia Vaticana. Che ricordi ha di lui?

Ho molti ricordi della mia infanzia. Essendo lo zio di mia madre, frequentemente andavamo a trovarlo. Era un uomo molto rigoroso, sobrio, della scuola di Pio XI, attentissimo ad ogni forma di preferenza, tanto più di nepotismo. Era un Vescovo molto affettivo, che sapeva mostrare, pur nella serietà che lo contraddistingueva, una partecipazione profonda a quello che accadeva e alle persone che incontrava. Conservava un legame profondo con la città dell’Aquila. Nella vostra città ha vissuto forse il periodo pastoralmente più intenso della sua vita sacerdotale ed era legatissimo agli Aquilani. Direi di più. Era veramente orgoglioso di sentirsi aquilano. Anche quando lasciò l’Abruzzo per il Vaticano, negli incontri famigliari ogni qualvolta si parlava dell’Aquila, gli si illuminavano gli occhi.

Il tema della riconciliazione con Dio e fra gli uomini che Celestino V ha voluto mettere in risalto con la bolla “Inter sanctorum solemnia”, non può non far pensare al suo prezioso impegno in favore della pace, ad esempio in Mozambico in cui anche lei ebbe il ruolo di mediatore…

Il problema della riconciliazione è una sfida per tutti e in ogni situazione, perché il male divide e crea delle contrapposizioni. Riguarda la qualità della nostra vita: cosa succede se non ci si riconcilia? Quante volte il male dura tantissimo tempo proprio perché non c’è riconciliazione? Il male ci condiziona, vuole imprigionarci tanto da diventare definitivo: ci fa odiare il colpevole oppure ci fa sentire perduti, senza altre possibilità. Senza un vero perdono si rimane sempre quello che si è stati. Tutti abbiamo un grande bisogno di perdono e questo richiede molto coraggio.

La grandezza della Perdonanza penso sia proprio questa consapevolezza: l’uomo non è mai il suo peccato.

Spesso l’uomo coincide con il suo peccato: di una persona ci ricordiamo quello che fatto, purtroppo in negativo, che è considerato sicuro, mentre in positivo è sempre da confermare! Per Dio, invece, questo non accade! Dio ha sempre fiducia che l’uomo possa cambiare! Dio, ad esempio, lascia in vita Caino e non permette mai che la sua vita venga messa in discussione. Egli difende la vita ed è il Dio della vita quindi di futuro e di speranza anche quanto tutto sembra irrimediabilmente perduto. Nel mio libro “Le malattie del cuore” ho scritto, ad esempio, che il perdono è ciò che ci permette di guarire dalle tante malattie spirituali che colpiscono tutti. Il perdono non è una tassa da pagare ma una liberazione a cui affidarsi per ritrovare se stessi e la presenza del padre nella nostra vita. A volte siamo proprio noi che non crediamo alla possibilità del perdono mentre la volontà di Dio è sempre quella di affrancarci dal male. Il male, infatti, ci fa vivere male al contrario del perdono che ci permette di ritrovare noi stessi.

E’ ben nota la sua vicinanza anche a tante situazioni di povertà e degrado in cui vivono nostri concittadini ma anche tante persone che hanno trovato rifugio in Italia. Può condividere la sua esperienza con noi?

E’ sempre troppo poco quello che si fa, rispetto a quello che possiamo fare e dobbiamo fare. Penso che il confronto che abbiamo avuto con il male in questi mesi di pandemia ci deve aiutare a capire quanto sia indispensabile non rassegnarsi e, con il poco che possiamo, non accettare mai la logica del ‘non posso far niente’ che poi diventa la logica della rassegnazione.

La Bolla di Celestino V è stata interpretata anche come un invito ad una riconciliazione sociale e politica. Pensando al nostro Paese, l’Italia, quale secondo lei la strada per progredire in questa direzione?

La riconciliazione, anche dal punto di vista sociale e politico, è fondamentale tanto più nel momento storico che stiamo vivendo.

Abbiamo veramente bisogno di questa riconciliazione che comincia laddove si diventa consapevoli che le difficoltà vanno affrontate assieme e che non esiste soluzione ai vari problemi che si possa trovare da soli.

Questo richiede da parte nostra un atteggiamento di attenzione verso gli altri, di vera riconciliazione verso il prossimo. Credo che questa sia un’indicazione fondamentale che non dobbiamo perdere, consapevoli del grave momento che stiamo vivendo. Soltanto grazie ad una vera riconciliazione si possono affrontare le grandi sfide che ci attendono.

E pensando al mondo? Proprio quest’anno, infatti, celebreremo la prima Perdonanza dopo il riconoscimento, da parte dell’Unesco, come patrimonio immateriale dell’umanità.

E’ significativo che l’Unesco abbia dato questo riconoscimento che aiuta anche noi a comprendere la ricchezza della Perdonanza che non è una tradizione, un orgoglio vuoto ma è una grazia da utilizzare e da trasmettere. L’indulgenza di Celestino V ci aiuta a capire quanto il tema del perdono e della riconciliazione sia prezioso e fondamentale oggi e sempre per l’umanità tutta.

Il pontificato di Celestino V, il suo stile, le sue intuizioni, per certi versi profetiche, può in qualche modo, a distanza di così tanto tempo, essere messo in relazione al pontificato di Francesco?

L’atteggiamento di Papa Francesco ci riporta a quella stagione in cui è vissuto Celestino V. Sempre, nella storia della Chiesa, troviamo personaggi che ci aiutano a vivere in modo più radicale e fedele il Vangelo. Il richiamo all’essenzialità, alla semplicità, al mettere al centro l’amore per gli altri proprio perché si ama Dio, possono essere considerati tratti comuni dei due papi.

Se pensiamo anche al papa San Paolo VI, il suo legame con Celestino V non era solo riferito all’interrogativo sulle dimissioni dal pontificato che più volte il pontefice bresciano si era posto ma proprio allo stile di riforma della Chiesa che intuiva nella figura straordinaria di Pietro Celestino. Chiesa che deve sempre scegliere, oggi come allora, la via evangelica.

Siamo ancora in tempo di pandemia. Cosa può dirci a riguardo, soprattutto in relazione ai contraccolpi psicologici e spirituali, a quel ‘terremoto dell’anima’, per usare un’espressione del nostro Arcivescovo, che calamità simili causano nelle persone?

Non c’è dubbio che quello che noi abbiamo vissuto e stiamo vivendo è una opportunità per confrontarci con le tante macerie prodotte da questa pandemia e dalle tante pandemie che esistono. Quando ci si confronta con il male si capiscono anche di più tutte le realtà che spesso non vogliamo guardare o che pensiamo di poter rimandare. Il confronto con le varie pandemie ci deve portare a una nuova consapevolezza: un combattimento più serio, più forte, più continuo rivestititi dell’unica forza capace di combattere il male cioè la forza dell’amore. L’amore come il perdono è l’unico che riesce a restituire all’uomo la sua dignità e a non lasciarlo prigioniero del male, compiuto o subito. Penso che questo è quanto dovrebbe avvenire dopo aver preso consapevolezza delle tante pandemie che colpiscono la vita degli uomini.

(*) Settimanale diocesano “Vola” (L’Aquila)

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