Chiesa e società. Mons. Sorrentino: “La crisi come grazia per una nuova primavera”

Il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino nel suo ultimo libro si interroga su quale futuro ci può essere per i cristiani oggi. In un tempo segnato da tante prove, prima tra tutti l'emergenza legata al Covid-19, e da una crisi di valori che tocca tutti gli ambiti, per il presule, "la Chiesa del futuro avrà, nelle sue piccole comunità e anche in modalità più evangeliche di vivere il rapporto tra particolarità e universalità, tra unità e pluralità, tra famiglia e città, tra economia ed ecologia, una sua forza di impatto generativo sullo sviluppo dell’intera società". Ma il rinnovamento ha bisogno di ripartire dal basso

Uno sguardo alla situazione generale della Chiesa e della società per interrogarci insieme su cosa il Signore ci chiede in questo momento, segnato da tante prove. È quello che offre il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, nel libro “Crisi come grazia. Per una nuova primavera della Chiesa”, appena pubblicato da Edizioni Francescane Italiane. Ne parliamo con lo stesso vescovo.

Eccellenza, qual è stata l’ispirazione per scrivere il suo ultimo libro?

È un libro che nasce dall’ascolto della sofferenza che oggi la Chiesa avverte, come una propria crisi all’interno di quella più generale della società. Le statistiche documentano un declino della fede e della pratica cristiana. Ad avvelenare il clima si aggiungono tensioni all’interno della Chiesa tra diversi gruppi e tendenze. Gli attacchi non risparmiano il Papa. La mia riflessione mira a cercare vie di ripresa dell’evangelizzazione e dell’entusiasmo pastorale ben radicate nel Vangelo e adatte al nostro tempo. Un libro che nasce dall’esperienza pastorale. Ha come asse portante un progetto che stiamo sperimentando ad Assisi in sintonia con analoghe esperienze diffuse nel mondo, ma in Italia ancora troppo marginali nella programmazione pastorale. Parlo del rinnovamento delle parrocchie attraverso piccole comunità ispirate al modello della prima comunità descritta dagli Atti degli apostoli. L’orizzonte, dalle piccole comunità, si allarga ai grandi ambiti della vita ecclesiale e sociale. Era un testo già da tempo nel cassetto. Il forzato blocco del Coronavirus mi ha consentito di completarlo e mi ha incoraggiato a pubblicarlo.

Il titolo del libro fa pensare all’emergenza che stiamo vivendo con il Covid-19. Ha dedicato una riflessione anche a questo?

Naturalmente. Il testo, come dicevo, è nato ben prima del Coronavirus, ma rileggendolo nell’atmosfera degli ultimi mesi, mi è venuto spontaneo farvi cenno ogni volta che le varie tematiche vi si prestavano. L’ultimo capitolo ne tratta ex professo col titolo: “La lezione del Coronavirus”. La crisi che si è abbattuta sul mondo è, per tanti versi, inedita. Ha specifici caratteri sanitari ed economici. Ma sta rivelando anche altri punti di crisi ai quali ci eravamo assuefatti e ce li ha riproposti con forza nuova. Ci invita a una riflessione approfondita. Forse ci sta anche suggerendo rimedi, che non dovremo dimenticare appena passata l’emergenza.

Cosa c’è alla base della crisi odierna della società? E in che ambiti si registrano i maggiori problemi?

Nel libro lo sintetizzo con l’immagine di un triangolo:

c’è innanzitutto un’evidente crisi del pensiero, che diventa insieme crisi etica e valoriale.

Un relativismo nel quale tutte le certezze, comprese quelle di fede, sono indebolite o minate alla radice. Sperimentiamo poi una crisi delle relazioni, per la frantumazione dei rapporti che ha la sua espressione più tragica all’interno del nucleo familiare e rende la nostra società sempre meno coesa e comunicativa, nonostante l’esplosione dei media che possono certo aiutare ma non sono fatti per sostituire i rapporti interpersonali. Vedo poi anche una grande crisi della solidarietà, che non può essere occultata da momenti di partecipazione che di tanto in tanto si manifestano come reazione alla sofferenza collettiva, come quella che stiamo sperimentando col Coronavirus. Di fatto c’è sotto i nostri occhi un mondo in cui tanti, troppi, esseri umani sono condannati a una vita difficile a causa di un sistema economico, geopolitico e valoriale che discrimina i più deboli e devasta il pianeta.

Cosa resta oggi dei valori cristiani che hanno permeato la storia dell’Italia e dell’Europa?

Siamo nel guado. Fare i conti di ciò che resta e ciò che si perde è molto difficile. Sicuramente resta in molti una religiosità generica che fa sempre meno i conti con la verità totale del Vangelo e si nutre di tradizione, emozione e talvolta di un certo sincretismo. Sempre di più, specie tra le nuove generazioni, sono quelli che abbandonano esplicitamente la fede. Alcuni valori radicati nel Vangelo sono ancora presenti, ma secolarizzati e spesso con tante incoerenze. Il valore della vita è sentito molto per alcuni casi e categorie di persone, ma si oscura quando si tratta della vita incipiente o al tramonto. Sempre più vacillante il valore della famiglia. A riscoprirla, in qualche modo, ci ha costretto il Coronavirus, ma l’ethos familiare è ormai fuori controllo. Valori di giustizia, libertà, solidarietà, anch’essi di ispirazione evangelica, sono ancora molto declamati come fondamento della democrazia. Ma gli atteggiamenti concreti tante volte contraddicono ciò che si proclama. E che dire della spinta all’ unità che ha portato a costruire l’Europa, anche con il contributo di tanti cristiani? È dentro un processo di consolidamento, tra tanta assuefazione e molte contraddizioni.

L’Europa c’è, ma rischia di smarrire l’anima, soffocata da congegni economici, organizzativi e burocratici.

Lei parla di crisi come grazia e di primavera della Chiesa: ma quale futuro c’è per la Chiesa?

Che ci sia un futuro per la Chiesa ce lo dicono la fede e la speranza cristiana. Sarà anche una primavera? Una nuova fioritura? La riflessione di questo libro si porta appunto sulle condizioni che possono assicurare questo futuro primaverile. In sostanza,

è l’appello a un ritorno al Vangelo e al modello di vita che esso ispira anche nelle condizioni del nostro tempo.

Niente di nuovo, ma anche niente di più necessario. La Chiesa del futuro difficilmente potrà avere il volto di massa a cui siamo abituati. Sarà una Chiesa più spoglia e dispersa. Ma avrà, nelle sue piccole comunità e anche in modalità più evangeliche di vivere il rapporto tra particolarità e universalità, tra unità e pluralità, tra famiglia e città, tra economia ed ecologia, una sua forza di impatto generativo sullo sviluppo dell’intera società. La Chiesa sarà l’evangelico “lievito” e continuerà così la sua missione di sale e luce del mondo.

Secondo Lei, quanto riesce a essere incisiva la proposta evangelica di Papa Francesco per una Chiesa missionaria attenta agli ultimi e al Creato?

Papa Francesco ce la mette tutta perché la Chiesa si conformi sempre di più al Vangelo. I suoi primi anni di pontificato sono stati di grande impatto.

Oggi la sua popolarità resta immutata.

Ma ci sono anche tanti che, apertamente o nascostamente, prendono le distanze. L’incidenza dell’impulso di rinnovamento sembra diminuire. Il libro pone appunto il problema di un rinnovamento che non può contare solo sulla voce profetica di un Papa: ha bisogno di ripartire dal basso della condizione ecclesiale in tutte le sue forme. Il tentativo programmatico che cerco di delineare, senza alcuna pretesa di avere scoperto la formula magica, si muove nel solco di quanto da anni si dice nel magistero universale e nella Chiesa italiana. Mi sono preoccupato di esporlo in una forma accessibile, ma insieme organica, progettuale e documentata, nella speranza di aiutare la riflessione, il confronto e lo scambio delle esperienze. Una strategia, quest’ultima, che spero coinvolga tanti confratelli vescovi e la stessa Conferenza episcopale italiana.

Come trovare una luce di speranza oggi che siamo così provati dal Coronavirus, dalla povertà, dalla mancanza di rispetto della dignità umana?

Per chi ha la grazia della fede, la luce è già trovata, quella di sempre, la luce di Gesù e del suo Vangelo. Il problema è accoglierla. È una luce che dà senso alla nostra vita di credenti, ma insieme ci impedisce di chiuderci nell’autoreferenzialità ecclesiale e ci spinge ad aprirci, nell’ascolto e nella collaborazione, a quanti cercano ragioni di speranza anche solo umana. L’orizzonte potrà essere fosco, ma tra le nubi non mancherà mai di affacciarsi un raggio dell’amore di Dio. Occorre intercettarlo e mettere insieme le forze del bene.

Una sfida decisiva per la testimonianza cristiana.

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