Giubileo 2025: mons. Sacchi (Casale Monferrato), “si chiude, ma la speranza esige continuità”

“Questo Anno Santo non è stato un’astrazione spirituale, è stato un cammino concreto della nostra Chiesa”. “Questo Giubileo ha chiesto alla nostra fede di diventare carne”. Lo ha affermato ieri pomeriggio il vescovo di Casale Monferrato, mons. Gianni Sacchi, presiedendo nella cattedrale di Sant’Evasio la celebrazione eucaristica con la quale si è chiuso a livello diocesano il Giubileo.
Richiamando le parole pronunciate da Papa Leone XIV nel corso dell’ultima udienza giubilare – “non finisce però la speranza che questo Anno ci ha donato: rimarremo pellegrini di speranza!” – il presule ha sottolineato: “Non pellegrini per una stagione, ma per vocazione; non per entusiasmo passeggero, ma per grazia battesimale”.
Nell’Anno Santo – ha proseguito il vescovo – “abbiamo voluto valorizzare: i pellegrinaggi a Crea, come risalita alle sorgenti mariane della nostra fede; il pellegrinaggio in cattedrale, cuore e grembo della Chiesa diocesana; il pellegrinaggio alla mensa Caritas, vero altare della carità, dove Cristo spezza ancora il pane con i poveri; il pellegrinaggio giubilare diocesano a Roma, segno visibile della nostra comunione con il Successore di Pietro. E attraverso l’iniziativa Caritas ‘Un anno di respiro’, abbiamo voluto dire alle famiglie schiacciate dal peso della vita che la Chiesa non le dimentica, che la speranza non è una parola, ma un sostegno reale, una vicinanza concreta, una dignità restituita”. Ricordando che “la speranza è il luogo teologico in cui la salvezza cade, cresce, matura”, mons. Sacchi ha ammonito: “Il Giubileo si chiude, ma la speranza esige continuità”. Per questo ha offerto alla diocesi alcune linee per il cammino da percorrere “perché quanto abbiamo vissuto non vada disperso”. La prima è “Custodire lo stile del pellegrinaggio”: “Le nostre comunità – ha auspicato – siano luoghi che aiutano a camminare: meno autoreferenzialità, più accompagnamento spirituale; meno burocrazia, più prossimità evangelica”. Poi “Mettere la famiglia al centro della pastorale. Non come problema da gestire, ma come soggetto generativo di fede, accompagnando le fragilità con pazienza verità, alla scuola di Nazareth”. E ancora: “Rendere strutturale la carità”. “L’esperienza di ‘Un anno di respiro’ – l’auspicio di mons. Sacchi – diventi metodo: la carità non come emergenza, ma come forma ordinaria della vita ecclesiale”. Dal vescovo poi l’indicazione a “Educare alla speranza le nuove generazioni”. “Giovani e ragazzi – ha rilevato – hanno bisogno non solo di proposte, ma di testimoni credibili che mostrino che la vita, con Cristo, può essere grande”. Infine “Coltivare una spiritualità eucaristica e mariana” ed “Essere pronti e disponibili ad accogliere e vivere il frutto del Cammino sinodale che si concretizzerà nella nostra Chiesa italiana nei prossimi mesi”. Tutto questo da vivere nella convinzione che “la speranza cristiana, non schiaccia, non domina, non impone, ma genera, accompagna, custodisce. E fa rinascere continuamente”.

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