“Beati gli operatori di pace!”. E’ il saluto del Papa al Libano, seconda tappa del suo viaggio apostolico che lo ha visto oggi lasciare la Turchia per approdare nel Paese di cedri. “È una grande gioia incontrarvi e visitare questa terra in cui ‘pace’ è molto più di una parola: qui la pace è un desiderio e una vocazione, è un dono e un cantiere sempre aperto”, l’omaggio di Leone XIV, secondo il quale “vi sono milioni di libanesi, qui e nel mondo intero, che servono la pace silenziosamente, giorno dopo giorno”. “A voi, però, che avete compiti istituzionali importanti all’interno di questo popolo, è destinata una speciale beatitudine se a tutto potrete dire di avere anteposto l’obiettivo della pace”, l’appello alle autorità, alla società civile e al Corpo diplomatico, destinatari del suo primo discorso, in inglese, in Libano, tutto incentrato su cosa significhi “essere operatori di pace entro circostanze molto complesse, conflittuali e incerte”. “Oltre alle bellezze naturali e alle ricchezze culturali del Libano, già elogiate da tutti i miei predecessori che hanno visitato il vostro Paese, risplende una qualità che distingue i Libanesi”, ha affermato il Papa: “siete un popolo che non soccombe, ma che, di fronte alle prove, sa sempre rinascere con coraggio. La vostra resilienza è caratteristica imprescindibile degli autentici operatori di pace: l’opera della pace, infatti, è un continuo ricominciare”. “L’impegno e l’amore per la pace non conosce paura di fronte alle sconfitte apparenti, non si lascia piegare dalle delusioni, ma sa guardare lontano, accogliendo e abbracciando con speranza tutte le realtà”, ha spiegato il Pontefice: “Ci vuole tenacia per costruire la pace; ci vuole perseveranza per custodire e far crescere la vita. Interrogate la vostra storia. Chiedetevi da dove viene la formidabile energia che non ha mai lasciato il vostro popolo a terra, privo di fiducia nel domani. Siete un Paese variegato, una comunità di comunità, ma unita da una lingua comune. Non mi riferisco soltanto all’arabo levantino che parlate, attraverso il quale il vostro grande passato ha disseminato perle di inestimabile valore, mi riferisco soprattutto alla lingua della speranza, quella che vi ha sempre permesso di ricominciare”.