Legalità: Libera-Demos, “9 italiani su 10 intervistati ritengono le mafie molto diffuse a livello nazionale”

Oltre nove italiani su dieci intervistati ritengono le mafie molto diffuse a livello nazionale. Un fenomeno radicato e pericoloso percepito non solo al Sud ma in tutto il Paese. Le differenze, invece, crescono quando si fa riferimento alle zone dove risiedono i cittadini intervistati. Sette cittadini su dieci residenti nelle regioni del Nord Ovest ritengono le mafie molto diffuse, percentuale che diventa il 56% per i cittadini delle regioni del Nord est, per risalire al 71% nelle regioni del Centro. Mentre sono ben 8 residenti su 10 intervistati delle regioni del Sud che ritengono le mafie molto diffuse nella loro regione. Ecco che quando la percezione si sposta dal piano generale a quello locale, il timore, per quanto diffuso dovunque, appare più elevato nelle aree geograficamente “opposte”. Nel Sud, in Sicilia e Campania, da un lato, e nel Nord-Ovest, in Piemonte e in Lombardia dall’altro. Meno nelle regioni del Centro-Nord Est. Sono i risultati di un’indagine condotta da Demos per Libera.
C’è un rischio che attraversa oggi il nostro Paese, più silenzioso ma non meno grave: la normalizzazione delle mafie. “L’idea – commenta Francesca Rispoli, copresidente nazionale Libera – che ‘non ci siano più’, che ‘non ci riguardino’, che siano un problema di altri luoghi o di altri tempi. È una forma di rimozione collettiva che anestetizza la coscienza civile e indebolisce la democrazia. Eppure, i dati del sondaggio raccontano l’esatto contrario: la percezione della diffusione delle mafie resta alta, e cresce soprattutto nel Centro e nel Nord Italia, dove le organizzazioni criminali operano in modo sommerso, dentro l’economia legale e nei circuiti del potere locale. La mafia si è trasformata, non è scomparsa. Ha cambiato linguaggio, volto, strumenti. Non spara, ma compra; non minaccia apertamente, ma influenza, condiziona, penetra. Chi pensa che il silenzio equivalga alla fine del fenomeno, ignora che proprio quel silenzio è il terreno su cui le mafie prosperano. È incoraggiante che, nonostante la fatica e la disillusione, una parte significativa del Paese continui a riconoscere la gravità e la pervasività del fenomeno mafioso. È la prova- che la memoria collettiva, il lavoro delle scuole, dei presidi, delle associazioni e dei familiari delle vittime hanno costruito un presidio civile che resiste”.
La ‘ndrangheta calabrese si conferma la più temuta: è indicata come “la mafia più pericolosa” dal 26% del campione, confermando la sua immagine di potenza economica e invisibile, capace di infiltrarsi silenziosamente nei circuiti legali. Subito dopo si colloca la camorra napoletana, segnalata dal 20% degli intervistati, in crescita significativa negli ultimi due anni. Cosa nostra, la storica mafia siciliana, mantiene invece un livello di preoccupazione del 12%, in leggero calo, ma sostanzialmente stabile rispetto al passato. Solo il 4% degli intervistati considera la mafia foggiana tra quelle più pericolose, nonostante le inchieste e le cronache dimostrano che sia tra le organizzazioni criminali, in questo periodo, più violenta d’Italia Il quadro cambia quando si guarda oltre i confini nazionali. Le “mafie straniere” destano timori più contenuti, anche se alcune tendenze meritano attenzione: cala la preoccupazione verso le “bande cinesi”, mentre cresce quella nei confronti della “mafia nigeriana”. Segno che l’attenzione dei cittadini segue l’evoluzione dei flussi criminali, adattandosi ai nuovi scenari della globalizzazione del crimine.
“Allo stesso tempo – conclude Rispoli – i dati segnalano un’altra fragilità: la sfiducia verso la politica e verso la capacità delle istituzioni di rappresentare una risposta credibile. In questo spazio rischiano di inserirsi l’indifferenza, il disimpegno e la delega. È qui che si colloca il nostro ruolo. Libera nasce e continua a esistere per rompere la normalizzazione, per dare nome, voce e responsabilità a ciò che troppo spesso si preferisce non vedere. I dati di questo sondaggio non sono solo una fotografia: sono un appello. E noi vogliamo continuare ad ascoltarlo, interpretarlo e agire, insieme”.

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