La festa di Tutti i Santi è qualcosa di radicalmente diverso dalla banalizzazione dei nostri giorni attraverso una “vigilia” fatta di maschere, mostri, presunto – e talvolta reale – terrore. Fa parte di una tendenza piuttosto antica di riprese neoceltiche in chiave horror – che quelle radici non possedevano – attraverso un nuovo consumismo mascherato da trend, uniformazione, allontanamento fittizio dal qui e dall’ora.
In realtà, all’origine c’è altro: c’è, in epoca cristiana, il culto dei fedeli che affrontarono la morte pur di testimoniare una fede che scandalizzava intellettuali e “borghesi” del mondo pagano.
Un cammino che in realtà divenne un lento percorso di sovrapposizione, testimoniato non solo dalle tante trasformazioni di templi pagani in chiese o in diaconie, ma soprattutto da quella del tempio per eccellenza – simbolo del politeismo – il Pantheon di Roma, luogo sacro di tutti gli dèi pagani, in una chiesa dedicata alla Vergine e a tutti i martiri. Eravamo nel 609, quando la celebrazione era stata individuata da papa Bonifacio IV nella data del 13 maggio; più tardi, però, il pontefice Gregorio IV stabilì – eravamo nell’835 – che fosse il primo giorno di novembre la festa di Tutti i Santi, quando alcune chiese d’Occidente, come quella irlandese o quella delle Gallie, avevano già lentamente iniziato a riferirsi a quella data.
Perché quella parola apparentemente misteriosa, Halloween, sarebbe la contrazione di All Hallows’ Eve, vale a dire “la vigilia di Tutti i Santi”, anche sulla scorta di una datazione arcaica del passaggio tra un clima ancora mite a uno freddo, in mezzo a foreste e monti, con i conseguenti cambi di attività lavorative legate ai boschi e alle terre contigue. Questo passaggio, nelle antiche tradizioni, era legato a una transizione tra cielo e terra, tra l’altrove assoluto e il qui e l’ora, che poteva far scaturire anche timore, non solo ricordo e preghiera.
L’accezione di anime propense a spaventare la gente, invece che celebrare insieme la consolazione e l’amore familiare, non poteva essere gradita a una Chiesa che invece accentuava il ruolo del Cristo Salvatore e la sua funzione, con la vittoria sulla morte, di consolatore di ogni lacrima e di ogni sofferenza. Sulla spinta dell’abbazia di Cluny (si noti che anche qui siamo in una terra anticamente abitata dai Celti), fin dal X secolo si rese stabile la data della commemorazione delle anime dei defunti il 2 novembre (data che poi sarà definitivamente accettata all’inizio del XIV secolo).
La festa di Tutti i Santi significa qualcosa di meno cupo dell’attuale sovrapposizione commerciale e modaiola, visto che la base celtica, nella sua versione più orrifica, è tornata a prendere il posto di quella cristiana.
Non possiamo non notare come essa sia adeguata non a storiche riprese neoceltiche, ma a un banale consumismo fatto di feste a tutti i costi, maschere e costumi. La festa cristiana ricorda altro: la possibilità di una vita meno legata a un presente banalizzato e modaiolo, più attenta alle drammatiche necessità di chi giace nel bisogno, nella distruzione della propria casa, nella morte straziante di genitori e di figli. Santificazione significa anche questo: sfuggire ai tentativi di rimozione di una realtà spiacevole e testimoniare una fede che è anche sguardo su un presente ombra di massacri che sembravano memoria di uno ieri neopagano.

