“Pur avendo modificato la percezione di sé e del mondo, le tecnologie digitali rimangono sempre e comunque uno strumento”; se si vuole “costruire un super-organismo sociale di cui gli uomini diventino solo delle parti, delle molecole, insomma in un processo di de-umanizzazione, allora l’AI può anche andare bene. Ma se vogliamo restare umani, dobbiamo educare all’uso consapevole della tecnologia: lo strumento giusto nel luogo e nel momento giusto”. Lo afferma in questa intervista al Sir l’antropologo dell’educazione Mario Pollo che abbiamo incontrato in vista del Giubileo del mondo educativo (27 ottobre – 1° novembre). “L’intelligenza artificiale – spiega – sa elaborare un’enorme mole di dati e creare una sintesi, ma non sa interpretarli. Allo stesso modo non aiuta ad arricchire la propria interiorità, ad entrare più profondamente in relazione con il mondo che si abita: pur non negando i notevoli vantaggi e i progressi che ha consentito in ambito tecnico-scientifico, va affiancata a un’educazione ‘ricca’, che coltivi empatia, amore, senso”. Al centro, il monito dell’esperto -” deve restare sempre la persona, altrimenti si rischia la sua de-umanizzazione”.
In vista del Giubileo del mondo educativo, quale “conversione” è necessaria per tornare a educare? “Per tornare a educare davvero – la risposta di Pollo – serve una rivoluzione antropologica prima che pedagogica. Occorre riscoprire e rielaborare il fondamento antropologico dell’essere umano che ha le sue profonde radici nel cristianesimo. Freud affermava che l’educazione è uno dei ‘mestieri impossibili’; oggi è invece divenuta un mestiere ‘possibile’ perché spesso si limita all’applicazione di una corretta didattica nella cornice di quel malinteso “multiculturalismo” cui abbiamo già accennato. L’educazione, invece, non è neutralità: deve proporre una visione, selezionare esperienze e relazioni che aiutino a rispondere alle domande fondamentali: chi sono, perché vivo, che senso ha il mio esistere”. Educare, conclude, “è un atto generativo, un atto di speranza e di fiducia nell’altro”.