“Gli animali contano anche per noi”: Alma Massaro ribalta l’idea che l’etica sia solo per gli esseri umani

Nel libro “Breve storia della filosofia animale”, la filosofa Alma Massaro ricostruisce il pensiero occidentale attraverso il rapporto tra umani e animali. Tra etica, teologia e antropologia, l’autrice invita a superare l’indifferenza e ad ampliare la responsabilità morale verso tutte le forme di vita

(Foto SIR)

Che cosa ci insegnano gli animali sul modo in cui pensiamo, amiamo e costruiamo le nostre società? È questa la domanda che attraversa “Breve storia della filosofia animale” (LAS, 2025) di Alma Massaro, dottore di ricerca in filosofia presso l’Università di Genova, dove oggi è cultore della materia in storia della filosofia, dopo periodi di studio a Yale e Harvard. Non una semplice rassegna di autori, ma un itinerario che ripercorre la storia del pensiero alla luce della relazione con il vivente non umano, invitandoci a ripensare il nostro posto accanto alle altre creature.

(Foto SIR)

Come è nata l’idea di scrivere un libro sulla storia della filosofia animale?
Da un lato, sentivo l’esigenza di dare ordine al materiale raccolto in anni di studio sul rapporto uomo-animali: fonti antiche e moderne che da sole non bastavano a costruire un saggio. Serviva un principio ordinatore, che ho individuato nelle categorie della “teriofilia” e dei “doveri indiretti”.

Dall’altro, ho voluto integrare l’approccio laico e quello teologico, superando il pregiudizio che vede nella sapienza ebraico-cristiana solo un ostacolo a una visione rispettosa dell’alterità.

Seguendo lo storico Keith Thomas, ho cercato di mostrare come detta tradizione offra strumenti preziosi per rileggere il rapporto con il vivente non umano.

Dunque, il Medioevo non è quella parentesi oscura che spesso si racconta?
No. Non è stato una parentesi oscura, ma un laboratorio in cui la riflessione biblica e patristica ha posto le basi per forme di tutela e compassione. È opportuno, quindi, superare il pregiudizio che vede in questa tradizione la causa dell’attuale sfruttamento del creato.

Che cos’è la “teriofilia” e perché è importante oggi?
Il termine appare in un saggio di George Boas del 1933 per indicare quella forma di primitivismo che attribuiva agli animali una superiorità morale sull’uomo civilizzato. Io ne ho ampliato il significato: con “teriofilia” intendo tutti gli approcci che riconoscono un valore intrinseco alla vita animale, al di là di ogni utilità.

In chi apre i confini della sfera morale fino ad includervi gli animali si coglie spesso una nostalgia per la loro aderenza alla natura e alle sue leggi immutabili.

Tra i filosofi presenti nel libro, chi l’ha guidata di più nella riflessione?
Vorrei ricordare Bernard Mandeville, pensatore inglese del Settecento e autore della “Favola delle api”. Spesso liquidato come libertino, io lo considero un “maestro del sospetto” ante litteram. Con ironia indaga la natura umana e le sue abitudini. Memorabile la descrizione della macellazione di un “torello grosso e dolce”, dove unisce competenze mediche e filosofia per restituire l’esperienza interiore della vittima. Non offre soluzioni, ma mette a nudo la sofferenza animale. Da pagine come queste traspare solidarietà verso creature capaci di dolore e paura, ma privi delle parole per esprimerli.

Gli animali nella Bibbia

Nella tradizione cristiana gli animali non sono semplici comparse, ma compagni di vita e persino “maestri” spirituali. La Bibbia stessa li presenta come interlocutori di Dio: l’asina di Balaam ammonisce il profeta, il grosso pesce guida Giona, il corvo nutre Elia, la colomba rivela lo Spirito Santo su Gesù, il gallo richiama Pietro al pentimento. Anche i santi hanno vissuto un legame speciale con gli animali: san Girolamo e il leone, san Colombano e il cavallo bianco, san Macario e la iena. Storie che mostrano come la creazione intera partecipi all’amore di Dio e possa diventare segno di guarigione e di comunione.

Perché la metafora della “coperta troppo corta” resta così attuale?
Paolo De Benedetti ha mostrato l’errore di pensare l’amore come risorsa finita, da distribuire “o agli uomini o agli animali”.

In realtà l’amore – e, in termini laici, il rispetto – non è limitato ma “elastico”: permette di includere anche chi tradizionalmente è stato considerato eticamente irrilevante.

Non toglie nulla all’uomo, ma allarga l’orizzonte della responsabilità.

Che messaggio vuole lasciare al lettore di oggi?
La voce di tanti pensatori può essere un antidoto all’indifferenza. La questione animale non è un tema naïf per pochi “sentimentalisti”, ma un problema antropologico fondamentale. Ho lasciato spazio alla domanda e al dubbio, perché solo un pensiero aperto può scardinare l’assuefazione all’ingiustizia. Già nel 1776 Humphrey Primatt avvertiva che l’indifferenza è la posizione più pericolosa: legittima passivamente la morale dominante e giustifica abusi nel nome dell’utilità umana. Ripercorrere la storia della filosofia animale significa allora interrogare l’uomo stesso, nella sua capacità di relazionarsi con creature diverse ma prossime.

Ha avuto un animale accanto a sé in questo percorso?
Sì. Giancarlo, un giovane cane adottato in canile, ha accompagnato la stesura del libro con grande pazienza. Disteso accanto alla scrivania, a volte in preda a sogni agitati, mi ha aiutato a comprendere più da vicino la ricchezza di un mondo che percepisco ma non posso possedere. È questo, in fondo, il senso della filosofia animale: indagare l’umano nella sua apertura a creature diverse e, al tempo stesso, straordinariamente vicine.

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