Cipro: isola divisa in due, rinnovato allarme del Parlamento europeo

Linea di confine tra le due parti di Cipro (Foto Parlamento europeo)

Cinquantuno anni di divisioni, tensioni e scontri. Dal 1964 l’isola di Cipro, la più orientale del Mediterraneo, è tagliata in due dal confine che separa Oriente e Occidente e che rende Nicosia l’unica capitale ancora “divisa” dell’Europa geografica. Perché dell’Unione europea, dal 2004, fa parte solo la parte sud dell’isola, la Repubblica di Cipro, dove affondano le radici della cultura greca. Dal lato opposto l’autodichiarata Repubblica Turca di Cipro del Nord, che solo Ankara riconosce sul piano internazionale. E al centro la cosiddetta “green line”, la striscia demilitarizzata sotto il controllo Onu, istituita per scongiurare frizioni tra le due anime dell’isola ma che, negli ultimi anni, ha finito per trasformarsi in un limbo per centinaia di migranti diretti verso la porta più orientale d’Europa.
All’indomani della seconda guerra mondiale i due nazionalismi sono esplosi spaccando in due l’isola: a sud i greci puntavano all’enosis, la riunificazione con la madrepatria, a nord invece i turchi spingevano per la taksim, il desiderio di portare avanti una divisione territoriale che avrebbe scongiurato il rischio di finire nelle mani di Atene e garantito, invece, di affermarsi come minoranza in quella che allora era una colonia britannica. Dopo i fallimentari tentativi di convivenza tra i popoli che resero Cipro la “Cuba del Mediterraneo”, il 15 luglio 1974 un golpe filoellenico nell’area sud innescò la dura reazione della Turchia, che il 20 luglio rispose inviando il proprio esercito a invadere l’area nord. Duecentomila greco-ciprioti e cinquantamila turco-ciprioti furono costretti a un esodo incrociato e forzato, unica soluzione per non ritrovarsi di colpo stranieri a casa propria. Oggi, cinquantuno anni dopo, le due parti dell’isola professano ancora una visione opposta: i turchi fedeli ad Ankara e alla spartizione territoriale, i greci desiderosi di una riunificazione dell’isola e con l’euro in tasca.
Nella relazione sulla Turchia discussa ad aprile, il Parlamento europeo ha chiesto (art. 30) il ritiro delle truppe stanziate nel nord e la ripresa dei negoziati sulla riunificazione, ribadendo come l’unica soluzione alla questione cipriota sia “una federazione bicomunitaria e bizonale dotata di un’unica personalità giuridica internazionale, un’unica sovranità, un’unica cittadinanza e di uguaglianza politica”. Mercoledì 9 luglio l’Eurocamera è tornata a discuterne alla presenza di Jozef Síkela, commissario ai Partenariati strategici: “Desideriamo la ripresa dei colloqui con la Turchia” ha detto, sottolineando come i finanziamenti Ue (727 milioni di euro) puntino a sviluppare nelle due comunità “settori come istruzione, ambiente e cultura”, ma vengano impiegati anche per “trovare i resti delle persone scomparse durante i combattimenti: un promemoria del costo umano del conflitto che dovrebbe spronarci a trovare una soluzione pacifica”.

Il giro di parola tra gruppi politici porta al centro dell’Emiciclo gli eurodeputati ciprioti, unanimi nel condannare quella che ritengono una invasione deliberata e tutt’oggi impunita. “Hanno preso la nostra terra, le nostre vite, metà della nostra patria. Cipro ancora sanguina e la sua occupazione è un’offesa per tutti noi”, tuona Fourlas (Popolari). Anche Mavridis (Socialdemocratici) sottolinea quanto la questione cipriota costituisca “un problema europeo”, considerandola affine alla crisi in Ucraina tanto da chiedere “misure alla pari” visti i “crimini sul territorio europeo”. A tal proposito, Geadis (Conservatori) sottolinea la pulizia etnica e gli stupri, ma anche la “profanazione del patrimonio religioso e culturale” a danno delle chiese greche. “Dichiarare la Turchia partner strategico significa mettere il lupo a guardia delle pecore”, stigmatizza infine Georgiou (Sinistra).

(Foto Parlamento europeo)

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