I cattolici vogliono bene al Papa. Punto. Non a questo Papa, ma al Papa, chiunque esso sia. Che si chiami Francesco, Benedetto, Telesforo o Celestino. E il motivo è molto semplice: il Papa è il successore di Pietro, la pietra su cui Gesù ha stabilito e tiene unita la sua Chiesa. E se tu credi che questa vecchia barca, che da due millenni solca i turbolenti mari della storia, sia guidata, nonostante tutto, dallo Spirito Santo, allora non puoi dubitare che i signori cardinali nell’indicare il successore di Pietro non abbiano fatto la scelta migliore. Strumenti consapevoli o, forse più spesso, inconsapevoli della Provvidenza. A volte, come nel caso dell’elezione di Giovanni XXIII (che nel pensiero di molti porporati doveva essere un “innocuo papa di transizione”) lo Spirito Santo si è servito e pure burlato dei calcoli troppo umani che nel collegio cardinalizio si erano fatti.
Non si tratta di mistificazione, ma di vedere che nella Chiesa non ci sono schieramenti e correnti come nella politica, ma solo persone che, ciascuna a suo modo, amano il Signore e cercano di mantenere acceso il fuoco del Vangelo. Qualche teologo o cristiano benpensante forse avrà già il mal di pancia. Ma, attenzione…non stiamo propugnando un’adesione acritica alla persona, alle parole o alle scelte del Romano Pontefice. Stiamo solo dicendo che, comunque sia, anche nell’evenienza in cui un cattolico in coscienza si trovasse in disaccordo con il Papa, ancora gli vorrebbe bene, con affetto filiale e riconoscente. E invece oggi purtroppo assistiamo da un lato a presuntuosi tradizionalisti (spesso strumentalizzati dai partiti di estrema destra) che attaccano il Papa o addirittura non lo riconoscono tale dichiarandosi “sedevacantisti” e dall’altro a frange iper progressiste che vorrebbero svuotare del tutto il senso del primato petrino, in nome magari di una democratizzazione del vissuto ecclesiale che sembra aver perduto il senso spirituale della Chiesa come corpo mistico di Cristo. Questi ultimi, tra l’altro, sembrano non rendersi conto di come il Papa a Roma sia una straordinaria garanzia di unità e libertà per la Chiesa nel mondo. Un’unità e libertà che molte altre chiese cristiane hanno perduto, vedendosi oggi drammaticamente divise al loro interno o condizionate dai poteri civili dei Paesi in cui si trovano a vivere e ad operare.
Il primato petrino, da esercitarsi come servizio all’unità della Chiesa e garanzia della apostolicità della fede, è un potente antidoto a quella forza disgregatrice che insidia anche la comunità dei credenti. E del resto il Signore Gesù doveva esserne ben consapevole se l’ultima sua preoccupazione fu proprio quella di pregare per l’unità del suo gregge. Certo, ci si potrebbe interrogare sul modo di interpretare il ministero che deriva dal primato petrino. Lo stesso cammino sinodale in atto può essere letto come un avvio di riforma a riguardo. Dalla fine dello Stato Pontificio ad oggi, secondo alcuni autorevoli studiosi, il Papa e la Curia Romana avrebbero assunto una funzione eccessivamente di normazione e controllo sul piano giuridico della vita della Chiesa, a scapito di una autorevolezza più di natura morale e spirituale, come era stato per i secoli precedenti. Ma questo non cambia il succo del discorso e cioè che non esiste un vero cattolico che non provi un moto di gioia e consolazione interiore nel vedere quell’uomo vestito di bianco affacciarsi, incoraggiare e benedire. Come conferma largamente il communis sensus fidelium e come in questa domenica testimoniano le decine di migliaia di giovani strette a Lisbona attorno a papa Francesco.

