Quella del 13 marzo è una data importante per la Chiesa universale e per l’umanità intera. Da dieci anni siede sul soglio di Pietro un pastore preso – com’egli disse con tratto di simpatico umorismo, misto a umiltà, nel giorno dell’elezione – “quasi alla fine del mondo”. A guidare la Chiesa cattolica è, infatti, da allora, Jorge Mario Bergoglio, un personaggio speciale che, col prenome straniero, porta nome e cognome italiani esattamente come il padre che quasi 100 anni fa partì da Genova, emigrante, verso Buenos Aires, di cui il figlio divenne poi arcivescovo. Il nuovo nome scelto destò subito scalpore e fece intuire la missione che lo Spirito gli suggeriva di compiere: Francesco, patrono d’Italia, emblema di povertà e di pace. Bergoglio avrebbe cercato di imitarlo, avvertendone la protezione, fin dai primi gesti di distacco da vari onori e di vicinanza agli ultimi (anche con visite inattese o con telefonate incoraggianti). Sottolineando di essere stato eletto prima di tutto “vescovo di Roma” annunciava anche il suo convinto percorso ecumenico di dialogo tra le confessioni cristiane, ampliato nel corso del decennio nei riguardi di tutte le religioni, in particolare con l’ebraismo e l’islam, siglando documenti di portata storica e approfondendo i rapporti. Ma totalmente aperto ad ogni popolo o nazione, molti dei quali egli ha visitato in questi anni, nonostante l’evidente fatica fisica dell’ultimo periodo. Tutti ricordiamo l’entusiasmo che egli suscitò con le sue parole e i suoi gesti fin dall’inizio, tanto che molti, ai margini della vita ecclesiale o del tutto lontani, si avvicinarono cogliendo in lui segnali innovativi di comprensione e misericordia verso tutti.
“Chiesa ospedale da campo” è una delle sue più eloquenti espressioni nei riguardi della situazione vissuta oggi dall’umanità. Le visite profetiche ai profughi di Lampedusa e Lesbo indicarono la strada che andava esplicitando con i quattro verbi di azione indispensabile verso chi fugge da terre diventate inospitali: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Non si contano i suoi successivi interventi al riguardo. Come non si contano gli appelli per tutte le situazioni drammatiche e tragiche provocate da calamità naturali o dai conflitti, tra i quali quello accorato per la pace in Ucraina reiterato puntualmente ogni settimana e di più. Non sono mancate le critiche nei suoi riguardi, accentuatesi negli ultimi anni e speculate dai media, provocate da improvvidi partigiani del suo predecessore Benedetto, che è sopravvissuto accompagnandolo con la preghiera per quasi tutto il decennio e verso il quale Francesco ha sempre dimostrato grande venerazione. Critiche anche per decisioni, a volte severe, a livello pastorale o legislativo e finanziario, sempre dettate dalla ricerca e dall’affermazione della verità nella carità. La scelta di rinnovare pressoché totalmente il collegio cardinalizio con nomi di zone lontane glissando su sedi tradizionalmente vocate indica solo la prospettiva di maggiore universalità. Le sue sincere richieste di perdono per i crimini passati e presenti della gente di Chiesa (dalla pedofilia alla complicità nella repressione degli indigeni) sono esemplari per tutti. Un pontefice grande, che ha ancora molto da offrire alla Chiesa e al mondo.
Francesco, un pontefice grande
Quella del 13 marzo è una data importante per la Chiesa universale e per l'umanità intera. Da dieci anni siede sul soglio di Pietro un pastore preso - com'egli disse con tratto di simpatico umorismo, misto a umiltà, nel giorno dell'elezione - "quasi alla fine del mondo". A guidare la Chiesa cattolica è, infatti, da allora, Jorge Mario Bergoglio, un personaggio speciale che, col prenome straniero, porta nome e cognome italiani esattamente come il padre che quasi 100 anni fa partì da Genova, emigrante, verso Buenos Aires, di cui il figlio divenne poi arcivescovo.