‘Ndrangheta e mafie. Mons. Oliva (Locri-Gerace): “Il contrasto non è estraneo all’azione di evangelizzazione”

La Calabria che lotta non lascia cadere le parole pronunciate da Papa Francesco il 21 giugno 2014 a Sibari. Parola di monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace, che al Sir esprime l’impegno che la Chiesa calabrese sta profondendo nel contrasto alle diverse forme di criminalità organizzata. Dopo il pestaggio subito il 9 luglio scorso da Francesco Coco, ex primo cittadino di Roccabernarda (Kr), la solidarietà delle istituzioni è stata unanime. Insieme a essa, la preoccupazione perché ancora troppe volte vengono utilizzati dei minori per commettere dei fatti criminosi

(Foto ANSA/SIR)

La Calabria che lotta non lascia cadere le parole pronunciate da Papa Francesco il 21 giugno 2014 a Sibari. “L’intervento di Papa Francesco nella piana di Sibari è stato l’indicazione di un chiaro percorso pastorale che non ammette scorciatoie. Mi spiego: occorre attivarsi nel portare avanti un’azione pastorale di contrasto alle mafie, che faccia dei valori sociali e del bene comune un obiettivo perseguibile e soprattutto possibile”, parola di monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace, che al Sir esprime l’impegno che la Chiesa calabrese sta profondendo nel contrasto alle diverse forme di criminalità organizzata.

Dopo il pestaggio subito il 9 luglio scorso da Francesco Coco, ex primo cittadino di Roccabernarda (Kr), la solidarietà delle istituzioni è stata unanime. Insieme a essa, la preoccupazione perché ancora troppe volte vengono utilizzati dei minori per commettere dei fatti criminosi. “Oggi urge un’alleanza educativa che faccia rete e contrasti la mentalità mafiosa. Purtroppo la crisi del mondo degli adulti, la mentalità ‘del pensa a te stesso’, i modelli correnti prevalenti, la mancanza di testimoni credibili non danno gli stimoli giusti per andare controcorrente e reagire” – prosegue mons. Oliva – che denuncia come “viviamo in un mondo troppo ripiegato su se stesso, che non ha il coraggio di guardare oltre, di impegnarsi per un mondo più giusto, di non arrendersi, di non arretrare di fronte alle prime difficoltà, di non cercare le vie facili della raccomandazione”.

Per questo “riemergono spesso frange del mondo giovanile che conservano una mentalità ed una cultura di stampo mafioso. Per tanti purtroppo la figura del mafioso conserva il suo fascino. C’è allora tanto da impegnarsi di fronte a disvalori che attraggono e seducono, quali sono il fascino del denaro, la ricerca del facile guadagno, la sete di potere, la ricerca dell’edonismo”. Il lavoro della Chiesa calabrese, unitamente alla buona volontà dei fedeli, ha aperto una breccia per una nuova presa di coscienza. “Un segnale positivo viene da parte di molti fedeli e cittadini comuni che hanno un maggior senso di responsabilità civile e sociale e s’impegnano di persona nel combattere il fenomeno mafioso”, chiosa mons. Oliva, per il quale “la Chiesa calabrese ha preso coscienza della sua missione evangelizzatrice e della necessità di purificare la pietà popolare di condizionamenti di varia natura che ne compromettono il senso religioso”. Un lavoro partito dal basso, grazie anche allo zelo dei parroci che, negli anni, si sono impegnati per uno stile diverso. Come è stato per don Tonino Saraco, rettore del santuario della Madonna di Polsi, in Aspromonte, uno dei siti in passato considerati “luoghi della ‘ndrangheta”. “Stiamo cercando di rivalutare il santuario e di riportarlo al suo significato originario, un luogo di spiritualità e di fede – afferma al Sir don Saraco -. “Nel tempo, rispetto alla religiosità popolare, è stato fatto un lavoro sulla coscienza delle persone, secondo l’impegno presso dalla stessa Chiesa calabrese. Oggi a Polsi cerchiamo di curare al meglio l’accoglienza dei pellegrini, perché compiano un vero percorso di fede”. Da parte di don Saraco, un lavoro pastorale silenzioso e quotidiano, nonostante le difficoltà strutturali, ad esempio quella della strada, unica e non nelle migliori condizioni, che conduce al Santuario mariano.
Mons. Oliva ritorna sull’impegno della Chiesa, ben consapevole che “l’area della Locride è una terra ferita e condizionata da una criminalità radicata che ne compromette gravemente lo sviluppo”, dove insistono “piaghe come l’usura, il racket, le estorsioni, lo spaccio degli stupefacenti”. Per il presule “questi fenomeni criminali molto diffusi vanno contrastati con coraggio e coerenza”. “Dal mio osservatorio – prosegue mons. Oliva – posso dire che oggi nella Chiesa emerge una maggiore consapevolezza della loro gravità, ma soprattutto sono in molti, singoli cittadini ed istituzioni, che trovano il coraggio della denuncia”. Questo – dice ancora – “ha favorito importanti operazioni d’indagine che hanno contribuito a liberare il territorio da gravi forme di condizionamento mafioso”. C’è, dunque, una luce in fondo al tunnel, che permette di guardare al futuro con maggiore speranza. “Grazie all’azione formativa della Chiesa, al magistero sociale di Papa Francesco, all’impegno delle scuole e all’opera di sensibilizzazione delle forze dell’ordine, stanno maturando una forte coscienza civile e sociale ed un più diffuso senso di partecipazione sociale. Oggi la comunità civile ed ecclesiale non resta indifferente di fronte al fenomeno mafioso”.La Chiesa, da parte sua, che riconosce come “la criminalità organizzata costituisce un ostacolo gravissimo alla sua crescita sociale e civile”, sa – ne è convinto mons. Oliva – “che la sua azione contro le mafie non può fermarsi ai documenti, che sembrano interessare a pochi o a nessuno. Va sul concreto offrendo più puntuali indicazioni ai comitati feste, disposizioni sulle processioni, sul comparaggio, sulla scelta dei padrini e delle madrine. In altri termini il contrasto alla ‘ndrangheta ed alle mafie non è più considerato estraneo alla propria azione di evangelizzazione, tanto da prevedere nelle curie organismi di controllo e di verifica”.

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