Hanno guardato la Messa della Vigilia e guarderanno quella del giorno di Natale dai live su Facebook o YouTube, non dai banchi della loro parrocchia, dove fino a poche settimane fa sedevano e cantavano con tutta la comunità. È questo il Natale di centinaia di famiglie immigrate in molti Stati americani: un Natale vissuto dietro tende tirate, con il telefono in mano e in allerta, per non rischiare l’arresto. La paura, più della gioia, siede quest’anno alla tavola di tante famiglie ispaniche. Anche chi ha i documenti in regola teme di finire in una prigione privata, gestita da società ingaggiate dal governo nella caccia indiscriminata a chi è stato bollato come “criminale” solo perché straniero. È il clima che l’arcivescovo di Miami, Thomas Wenski, insieme agli altri sette vescovi della Conferenza episcopale della Florida, ha descritto in un appello accorato al presidente degli Stati Uniti: una pausa nelle operazioni di arresto e rimpatrio durante le festività natalizie, fino al 6 gennaio, “per permettere alle famiglie di superare il Natale senza essere paralizzate dalla paura”.
Nessuna tregua
La risposta della Casa Bianca è stata netta: nessuna tregua. “Il presidente Trump è stato eletto con la promessa di deportare gli immigrati illegali criminali. E sta mantenendo quella promessa”, ha dichiarato la portavoce Abigail Jackson, senza alcun riferimento al periodo festivo. Wenski, da anni voce autorevole a difesa dei migranti, ha ricordato che molti di coloro che oggi vivono nel terrore “non sono criminali, ma persone venute qui per lavorare”, fondamentali per l’economia americana. Le chiese, intanto, rispondono alle incursioni degli agenti dell’immigrazione (Ice) con i simboli della fede. In Massachusetts, la parrocchia di Saint Susanna ha rimosso Gesù dal presepe e al suo posto ha collocato un cartello: “L’Ice è stata qui”. Un altro avvisa: “La Sacra Famiglia è al sicuro nella nostra chiesa. Se vedete l’Ice, chiamate Luce”, un centro di assistenza per migranti. A Chicago, la Urban Village Church West ha allestito un presepe vuoto: Maria, Giuseppe e Gesù “si sono nascosti”, recita il cartello, “a causa dell’attività dell’Ice nella nostra comunità”. La Lake Street Church ha scritto: “La Sacra Famiglia era composta da rifugiati. Non è politica: è la storia che la nostra tradizione tramanda da millenni”.
Segni e testimonianze
In North Carolina, la pastora Pérez racconta che la partecipazione alla sua chiesa, composta in maggioranza da immigrati, è crollata del 40% dopo una settimana di operazioni dell’immigrazione. Undici famiglie non escono quasi più di casa. Per proteggere i fedeli durante le funzioni, nella sua comunità il pastore di una chiesa vicina siede vicino alla porta, pronto a essere il primo a fronteggiare eventuali agenti. Molte chiese ispaniche hanno cancellato o ridotto le celebrazioni di Las Posadas, la tradizionale rievocazione della ricerca di un rifugio da parte di Maria e Giuseppe. Padre Brian Strassburger, gesuita, sta invece organizzando una “Posada” davanti all’aeroporto di Harlingen, in Texas, dove arrivano e partono voli con migranti detenuti. “Speriamo che la vista di Maria e Giuseppe in cerca di riparo sia un segno di speranza”, ha spiegato a National Catholic Reporter. A St. Camillus, nel Maryland, la comunità anglofona si è unita ai latinoamericani per le Posadas “per dire che siamo una sola famiglia”, racconta Kathy, volontaria. Dall’autunno, nella parrocchia, una famiglia a settimana è colpita dalla detenzione di uno dei membri: c’è chi non esce più di casa, chi ha bisogno di cibo perché il capofamiglia è stato arrestato. Il governo ha respinto le critiche. La vice segretaria del Dipartimento per la Sicurezza interna, Tricia McLaughlin, ha definito i presepi di denuncia “offensivi per i cristiani” e ha negato che l’Ice ammanetti o separi bambini. Ma nelle comunità la percezione è diversa: la paura è quotidiana e concreta e la storia di quella famiglia di Nazareth, in fuga, è ora anche quella di molte delle loro.

