Gli architetti dell’IA e gli abitanti del grattacielo

La copertina di Time che celebra gli “architetti dell’intelligenza artificiale” richiama un’icona del Novecento ma apre interrogativi sul potere tecnologico contemporaneo. Tra concentrazione decisionale, assenza di rappresentanza democratica e rischi etici sottovalutati, l’innovazione appare come un processo che coinvolge tutti senza essere condiviso. La domanda centrale resta chi decide il futuro e a quale prezzo

(Foto SIR)

Una trave sospesa nel vuoto, otto persone sedute che gesticolano, la città sottostante sfocata. La copertina di Time per la Persona dell’Anno 2025 richiama una delle immagini più iconiche del Novecento: Lunch atop a Skyscraper, la fotografia del 1932 che ritraeva gli operai impegnati nella costruzione dei grattacieli di New York. Allora come oggi, si stava edificando qualcosa destinato a cambiare il paesaggio. Ma c’è una differenza decisiva: quegli operai costruivano per altri, rischiavano in prima persona, conoscevano il destino concreto di ciò che realizzavano. Gli “architetti dell’intelligenza artificiale” celebrati da Time – da Mark Zuckerberg a Sam Altman, da Elon Musk a Dario Amodei – costruiscono invece un’infrastruttura che riguarda tutti, senza che quasi nessuno abbia partecipato alla scelta del progetto. E la città sottostante, quella reale, resta fuori fuoco.

Anche i dettagli dell’immagine raccontano qualcosa. Nella foto del 1932 gli operai erano undici e la trave aveva un inizio e una fine: ancoraggi visibili, una struttura riconoscibile, un lavoro collettivo inserito in un sistema. Qui sono otto persone, sedute su una trave che non mostra appoggi né direzione, sospesa in un vuoto senza riferimenti. È un’immagine che comunica potenza e insieme fragilità. Dove poggia questa costruzione? Chi ne garantisce la stabilità? Colpisce anche la composizione del gruppo: sei uomini e due donne. Non è solo una questione simbolica, ma di processo decisionale. Chi siede su quella trave non rappresenta l’umanità che verrà modellata da quelle scelte, ma una ristretta élite tecnologica che concentra visione, capitale e potere.

La rivista statunitense parla di pionieri “nel bene e nel male”, una formula che sembra riconoscere l’ambivalenza dell’innovazione, ma che finisce per sospendere il giudizio. L’intelligenza artificiale è al tempo stesso motore di investimenti e fonte di inquietudine pubblica. Questa tensione non è marginale, ma strutturale. Eppure resta sullo sfondo la domanda decisiva: chi stabilisce cosa sia accettabile, quali rischi siano tollerabili, quali conseguenze possano essere scaricate sulla società? In altre parole, chi decide e chi paga.

La celebrazione degli “architetti” tende a presentare l’innovazione come inevitabile. Time scrive che “non ci sarà ritorno al passato”, come se lo sviluppo tecnologico fosse una legge di natura e non il risultato di scelte precise, compiute da persone identificabili. Ma nessuna tecnologia è neutra e nessuna traiettoria è obbligata. Si decide cosa sviluppare, per chi, con quali limiti e quali tutele. In questo processo, la maggioranza delle persone resta spettatrice.

Leone XIV ha riportato la riflessione sull’intelligenza artificiale a un livello più profondo, parlando della necessità di custodire voci e volti umani. Non è un richiamo generico alla dignità, ma un’indicazione antropologica: la persona non può essere ridotta a dato o a profilo. Prima ancora che tecnica o normativa, la questione è umana. Che tipo di soggetti stiamo educando? Persone capaci di discernimento o utenti orientati da sistemi opachi? La Chiesa non rifiuta la tecnologia, ma chiede che non diventi uno strumento di riduzione dell’umano.

Quegli otto uomini e donne seduti sulla trave rappresentano una concentrazione di potere inedita. Decidono cosa milioni di persone vedranno, come lavoreranno, quali risposte riceveranno. Nessuno di loro è stato eletto, nessuno risponde a un mandato pubblico. La politica rincorre, il diritto fatica a stare al passo, mentre la governance tecnologica avanza più veloce dei processi democratici.

Forse la vera Persona dell’Anno non sono gli architetti ritratti sulla copertina. È chi abiterà il grattacielo che stanno costruendo: noi, che non abbiamo scelto il progetto ma ne vivremo gli effetti. La domanda che Time non pone è la più urgente: chi ci ha chiesto se volevamo questo edificio? La tecnologia non è destino. È responsabilità. E una responsabilità di questa portata non può restare sospesa nel vuoto, su una trave senza inizio né fine.

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