Nel cimitero di Kharkiv, tra le tombe dei caduti: gli italiani del Mean in cammino per la pace

Nel cimitero di Kharkiv, simbolo del dolore di un Paese in guerra, si è celebrata una preghiera ecumenica con il nunzio e i vescovi locali. Presenti 110 italiani del Movimento europeo di azione non violenta, accolti come “pellegrini della speranza”. Un gesto concreto di fraternità in una terra ferita, che chiede di non essere dimenticata

(Foto SIR)

Si scava ancora nel cimitero di Kharkiv. Le fosse sprofondano nella terra e attendono nuovi corpi, nuove bare. Si continua a piangere in Ucraina. Il prezzo della guerra è altissimo, soprattutto in termini di vite umane. La distesa di bandiere e lapidi si perde all’orizzonte. Sono tantissimi i soldati caduti, anche se il governo non ha mai reso noto il loro numero esatto. È stato scelto questo luogo simbolo di dolore e lutto per una cerimonia ecumenica, tappa del Giubileo della speranza promosso in questi giorni dal Mean – Movimento europeo di azione non violenta.

Alla celebrazione hanno partecipato il nunzio apostolico di Kiev, mons. Visvaldas Kulbokas, il vescovo esarca greco-cattolico di Kharkiv, mons. Vasyl Tuchapets, e i rappresentanti delle Chiese ortodossa e armena apostolica. “La nostra terra è bagnata di sangue e noi combattiamo per vivere”, ha detto il vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia dei latini, mons. Pavlo Honcharuk. E non ci sono solo i morti che hanno trovato sepoltura, ma anche i dispersi rimasti sui campi di battaglia. I caduti hanno tra i 20 e i 60 anni, con un’età media di 30-35 anni. “Sono il fiore all’occhiello di questo Paese: ingegneri, scrittori, insegnanti, giornalisti, artisti, medici”. I 110 attivisti italiani del Mean hanno scelto di attraversare la Porta santa nel cuore di questa terra martoriata.

“Italiani coraggiosi, pellegrini della speranza. Siete un segno di fede e coraggio. Siete per noi un segno di speranza”, ha detto mons. Tuchapets accogliendoli nella cattedrale greco-cattolica.

Il vescovo ha ricordato che la Chiesa continua a restare vicina a chi soffre: “Vogliamo essere una Chiesa che non lascia nessuno indietro e abbraccia tutti, asciuga le lacrime, cura le ferite”.

(Foto SIR)

Fin dallo scoppio della guerra, la cattedrale è diventata rifugio e centro di smistamento di aiuti umanitari. Ogni giovedì circa 2.000 persone si mettono in fila per ricevere alimenti, prodotti per l’igiene, medicinali e vestiti. A coordinare il lavoro è suor Oleksia Pohrsnychna. “La situazione è peggiorata – racconta –. Ogni notte, e spesso anche di giorno, girano droni che possono colpire in qualsiasi momento e in qualunque punto della città. I russi stanno colpendo Kupyansk: vogliono distruggere tutto, trasformarla in terra bruciata, come hanno fatto a Vovchansk. Per questo la gente è costretta a scappare. Siamo esausti, ma tutti conservano la speranza che la guerra finisca e si possa tornare a vivere in pace”. Nel pomeriggio gli attivisti si sono divisi in gruppi ed hanno animato incontri ed eventi in vari punti della città con sindaci e amministratori locali, con docenti e studenti dell’Università Beketov e con sportivi.

“Mi sono chiesto perché siete venuti in questa città così vicina al fronte mettendo a rischio la vostra vita”, ha detto il rettore dell’Università Berestov, Ihor Biletsky.

“La guerra è un male assoluto. Distrugge tutto: case, vite, anime e idee. Ma c’è una cosa peggiore della guerra, ed è l’indifferenza. Voi ci ricordate che esiste un mondo che non è rimasto indifferente e la vostra presenza ci fa sperare che possiamo vincere questo male. È facile giudicare e dare consigli rimanendo comodi nelle proprie case. Più difficile venire qui per chiedere la pace a Dio. Anche questa vostra preghiera è un atto di eroismo”.

(Foto SIR)

L’arrivo degli italiani ha lasciato un segno che rimarrà nella memoria di Kharkiv. Per la prima volta dal 2022 la sala dell’organo della Filarmonica ha aperto le porte per un attesissimo momento di musica. Il maestro Stanislav Kalinin ha eseguito brani di autori tedeschi e ucraini. “In questi tempi di guerra in Ucraina risuonano tante preghiere – ha detto nell’introdurre il concerto Olga Gubko –. Risuonano non soltanto nei templi ma anche nelle case e addirittura nelle trincee. La preghiera può avere tante forme diverse: un abbraccio, un gesto gentile, parole o melodia”. In platea, a seguire il concerto, anche il marito della presentatrice, un soldato in congedo arrivato direttamente dalla trincea: un segno della potenza che la musica e l’arte possono avere per sanare le ferite che la guerra lascia nei corpi, nelle menti e nei cuori.

Altri articoli in Mondo

Mondo