Proprio nei giorni in cui, a Tor Vergata, un milione di giovani si è riunito per il grande Giubileo, gridando con il Papa parole di pace e speranza, un altro gruppo di giovani partiva, in silenzio, per una missione diversa ma profondamente connessa. Sono i giovani di Missio Giovani – il settore della Fondazione Missio della Cei dedicato agli under30 – arrivati a Nairobi per vivere la loro prima esperienza missionaria in Kenya.
Valore aggiunto. Sempre più diocesi italiane si stanno impegnando nell’invio di nuove generazioni verso esperienze di missione, per aprire orizzonti di impegno sociale e annuncio del Vangelo, in Italia e nel mondo. L’iniziativa di Missio Giovani rappresenta un’esperienza dal valore aggiunto: non solo missione internazionale, ma anche incontro tra giovani provenienti da diocesi diverse, promuovendo così una cooperazione che è insieme ad intra e ad extra. I diciassette partecipanti sono partiti da Roma il 28 luglio, accompagnati da Elisabetta Vitali, segretaria nazionale di Missio Giovani, e da Giovanni Rocca, dell’area pastorale della Fondazione Missio, in qualità di formatore. Si erano preparati per mesi nelle proprie diocesi, attraverso percorsi formativi specifici, pronti a mettersi in cammino non solo fisicamente, ma anche spiritualmente.
Nuove consapevolezze. Nella prima parte del viaggio – fino al 2 agosto – si sono mossi verso il centro-nord del Paese, incontrando i missionari italiani impegnati nelle aree rurali. Dal 3 agosto si trovano invece nelle periferie di Nairobi, divisi in piccoli gruppi, per vivere due settimane a stretto contatto con le realtà missionarie ai margini della grande metropoli in espansione. Al termine dell’esperienza, il gruppo si riunirà per un momento di rilettura e condivisione: un’occasione per elaborare quanto vissuto, scoprire il valore della testimonianza e prepararsi a tornare a casa con nuove consapevolezze.
- (Foto Fondazione Missio)
- (Foto Fondazione Missio)
Essere, non fare. Ma cosa fanno, in concreto, questi giovani in missione? Chi è estraneo a questo mondo spesso immagina viaggi esotici dal sapore etnico, confondendo l’annuncio del Vangelo con il volontariato o il turismo alternativo. In realtà, a questi giovani non è affidato un compito specifico. Non ci sono “cose da fare”, ma piuttosto molto da essere. Sono chiamati a condividere la propria vita, i propri sogni, le proprie domande, entrando in dialogo con i coetanei locali. Incontrano bambini di strada che i missionari cercano di tenere lontani dalla colla, ragazze cui si offre la possibilità di una formazione professionale per costruirsi un futuro, ammalati e disabili dimenticati da tutti. Ed è in questa prossimità che nasce la speranza. Una speranza che non si impone, ma si scopre. Che non si dona, ma si riceve.
- (Foto Fondazione Missio)
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Un’altra porta santa. Di fronte agli slum sconfinati, alle baracche di lamiera, alle persone che sopravvivono con meno di un euro al giorno, i giovani si sentono inizialmente disarmati. Ma pian piano imparano che il primo passo è esserci, semplicemente. Essere presenti, ascoltare, condividere. Il senso profondo di questo anno giubilare si svela allora proprio in questo: passare per la porta santa dell’umanità ferita, attraversarla a piedi nudi, con rispetto e compassione. Una porta che apre a un mondo segnato dalla povertà, dall’ingiustizia, dallo sfruttamento – ma anche da una straordinaria resilienza, da una fede che resiste, da un’umanità che accoglie.
Prendersi cura. Non è un processo immediato, né facile. Ma è reale. Quando i giovani mettono piede sulla terra ferita, quando ne ascoltano il grido e ne respirano l’aria, comprendono che sono chiamati a prendersene cura. Di quella terra, e di chi la abita. Che sia dietro casa o agli estremi confini del mondo. Presenza. Cura. Incontro. Reciprocità. Ecco la missione. Ecco la speranza.

(Foto Fondazione Missio)

