Settant’anni a servizio delle Chiese di America Latina e Caraibi, ma anche della Chiesa universale, grazie alle sue intuizioni, all’originale recezione del Concilio Vaticano II, alle anticipatrici pratiche di sinodalità. “Una colonna vertebrale”, la definizione data dal cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo emerito di Tegucigalpa, intervistato dal Sir per l’occasione, mentre si trova a Rio de Janeiro, dove, dallo scorso 26 maggio fino al 30 maggio, si tiene la quarantesima assemblea dell’organismo ecclesiale continentale, proprio per celebrare il settantesimo della sua costituzione, avvenuta nel 1955, per decisione di Pio XII. Il cardinale Rodríguez Maradiaga ha attraversato molti di questi decenni, è stato segretario generale del Celam dal 1097 al 1991, e presidente dal 1995 al 1999. Ha partecipato a molti degli incontri ecclesiali più importanti, durante il pontificato di Francesco ha coordinato il Consiglio dei cardinali, ha partecipato a come elettore a due conclavi, nel 2005 e nel 2013, mentre in quello di qualche settimana fa ha, comunque, preso parte da ultraottantenne, alle congregazioni generali che hanno preceduto l’elezione del Papa. A Rio de Janeiro, in questi giorni, ha tenuto la relazione introduttiva. Nell’intervista, afferma di considerare Francesco e Leone XIV “papi che vengono dal Celam”, e di Papa Prevost afferma che è “un uomo del popolo”. Sulla sinodalità, assicura, si andrà avanti “senza dubbio alcuno, lo Spirito Santo non possiede la retromarcia”.
Eminenza, cosa significano questi settant’anni, e quale bilancio si può trarre?
Il Celam è stato, in pratica, la colonna vertebrale dell’episcopato dell’America Latina. Già quando si realizzò il Consiglio plenario latinoamericano, era evidente che l’episcopato di questo Continente era molto isolato, chiuso in se stesso, e come punto di riferimento aveva soltanto il Vaticano. Dunque, questa collegialità, che ha precorso il Concilio Vaticano II, ebbe inizio, di fatto, con il Celam. Fu Papa Pio XII, che aveva conosciuto, come cardinale Eugenio Pacelli, il Brasile e l’Argentina, a intuire, con la grande intelligenza che aveva, le grandi potenzialità di questo continente, e disse che bisognava cercare il modo di unirlo. Così, approfittando del Congresso eucaristico di Rio de Janeiro, nel 1955, prese la decisione di fondare il Celam.

Lei è stato presidente del Celam negli anni ’90 del secolo scorso. Secondo lei, come si è evoluto questo organismo da allora? Quali passi le sembrano più importanti?
In primo luogo, devo dire che il Celam non è rimasto fermo, ma ha continuato a crescere, e ha continuato a crescere nel suo specifico compito, che è il servizio agli episcopati del continente. Pietre miliari della storia del Celam sono state, certamente, le Conferenze generali dell’episcopato: Medellín nel 1967, Puebla nel 1979, Santo Domingo nel 1992 e Aparecida, nel 2007. Medellín applicò il Vaticano II alla nostra realtà, Puebla ebbe lo scopo di portare avanti l’Evangelii Nuntiandi, Santo Domingo ebbe lo sguardo sul quinto centenario dell’inizio dell’evangelizzazione del continente, e poi ci fu Aparecida, con questa apertura al nuovo millennio… Sono state pietre miliari, certamente, ma non possiamo dimenticare tutto il lavoro di formazione fatto dal Celam in questi settant’anni, prima nei distinti Paesi del Continente, poi con l’Itepal, il primo centro formativo, e poi con una grande quantità di corsi, per vescovi, operatori pastorali. Si è trattato, in particolare, di applicare il cammino di rinnovamento della madre Chesa, per esempio con i Sinodi dei vescovi. Sempre il Santo Padre ha invitato a tutti i Sinodi il presidente e il segretario generale del Celam, si è trattato di una presenza molto importante. Personalmente, mi è stato chiesto di partecipare a 11 Sinodi, e posso dire che queste varie partecipazioni, nel loro complesso, sono state una ricchezza per il nostro Celam e per gli episcopati del continente. Oggi, possiamo dire che il Celam non solo ha compiuto un cammino stupendo, ma tiene anche una meravigliosa proiezione verso il futuro.
Si può dire che la Chiesa latinoamericana sia stata molto rapida nell’attuare il Concilio?
In primo luogo, perché il terreno era molto aperto alla semina. Dopo il Vaticano II, tutto l’entusiasmo di rinnovamento, in tutti gli aspetti, ha fatto sì che il Celam abbia potuto seminare. Certo, non sono mancate le difficoltà, non possiamo ignorare che anche i problemi sociopolitici del continente hanno avuto influenza, e penso ai tempi difficili di quelle tra le teologie della liberazione che erano “non corrette”. Ma, in mezzo a tutto questo, il Celam è andato avanti.
Quanto questo percorso ecclesiale, pastorale, teologico… è stato decisivo nel magistero di Papa Francesco, e quanto lo sarà per Papa Leone XIV?
Senza dubbio alcuno è stato decisivo, perché entrambi per certi aspetti, vengono dal Celam! Non dobbiamo dimenticare che Papa Francesco fu il coordinatore della commissione di redazione del documento della Conferenza generale del 2007. Aparecida era nel suo cuore, nella sua mente, nel suo lavoro pastorale. Non dimentichiamo che nei primi anni di pontificato, il Papa regalava il documento di Aparecida a tutti i Capi di Stato che incontrava. Non mi dimentico che, in una occasione ricevette l’attuale presidente di un Paese del Continente, che cercava di servirsi della visita al Papa per giustificare la sua azione politica. Francesco lo ricevette nell’aula del Sinodo, e gli regalò il documento di Aparecida. Francesco ha saputo portare avanti tutta la riflessione dell’America Latina. Ma dobbiamo dire che anche papa Leone XIV è per molti aspetti “uscito” dal nostro continente, prima come missionario, e da lì, è stato priore degli agostiniani, vescovo in Perù, e poi come prefetto del Dicastero dei vescovi.

Come vede l’elezione di Leone XIV e dei primi passi del Papa? E che ne dice del suo “cuore” latinoamericano?
In primo luogo è un missionario che si è totalmente donato alla sua Chiesa. Questo è ciò che ha fatto, in primo luogo, nella diocesi di Chiclayo, che lo ha accolto e che lo ricorda con tanta nostalgia, gli hanno perfino dedicato una cumbia! E poi un uomo cresciuto tra il popolo, un uomo del popolo, che è prima di tutto un grande evangelizzatore
Pensa che il percorso verso una Chiesa sinodale sia irreversibile?
Senza dubbio alcuno. Nel “cambio” dello Spirito Santo non esiste la retromarcia, perciò coloro che pensano che la sinodalità fosse solo un capriccio di Papa Francesco si sbagliano. La sinodalità è un processo, un cammino, avviato dallo Spirito santo e andrà avanti, mai tornerà indietro.

