Nella Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebra questa domenica siamo invitati – nel messaggio lasciatoci in eredità da Papa Francesco – a “condividere con mitezza la speranza che sta nei nostri cuori”. Un titoletto risalta: “Disarmare la comunicazione”, cui ha fatto eco papa Leone XIV invocando una pace “disarmata e disarmante”. Ma il disarmo, in tutte le sue dimensioni, appare molto lontano… Purtroppo le due situazioni di belligeranza più gravi, vicino o attorno a noi – ci riferiamo sempre a Ucraina e Palestina –, anziché avviarsi verso un qualche superamento nel dialogo, sembrano incancrenirsi sempre più svelando ulteriormente la malignità dei piani sottostanti e la irriducibilità dei loro principali protagonisti. Aspetti che emergono con tutta evidenza nell’Europa dell’Est, dove si palesa al massimo (anche per i più ciechi filoputinani) la pervicacia del capo del Cremlino che persegue i suoi piani non solo ignorando i continui appelli alla moderazione e al negoziato, ma approfittando dei tentennamenti del collega americano, delle divisioni dei governi europei e delle ondivaghe decisioni dell’UE (per altro sbeffeggiata e umiliata dalla propaganda più bieca del regime). Senza alcuna remora politica o militare, e tantomeno morale, il gerarca postcomunista e neozarista persiste nello stillicidio di droni e missili, anzi infittendone il numero e aumentandone la potenza, infierendo soprattutto sulle città (capitale compresa) e sui civili nel tentativo di fiaccare corpi e animi. Per altro, i pochi chilometri quadrati di territorio conquistati negli ultimi due anni continuano a costare alle sue truppe perdite di vite umane e alle sue casse perdite di miliardi che apparirebbero insostenibili, se non fosse che ormai tutta la Russia gira attorno ad un’economia di guerra. Anche per questo – dicono alcuni esperti – per lui diventa pressoché impossibile, almeno in tempi brevi, fermare la macchina perfida e brutale che si è andato costruendo. Con lui sembrano fare quadrato tutti, non solo le oligarchie militari e finanziarie, ma anche il popolo, ingannato dalla propaganda e blandito dai risarcimenti. Cosicché i timidi progetti di pace sono, per ora, destinati a naufragare.
Simile discorso poco più a Sud, dove anche Netanyahu non fa più misteri sulla sua volontà di radere al suolo Gaza, facendo piazza pulita di ogni resistenza: “In due mesi – proclama – prenderemo il 75% della Striscia!”. E sposa pienamente anche il meschino e folle piano Trump di trasferire altrove tutti i palestinesi per trasformare quella terra in una spiaggia esclusiva (a dire il vero, un video diventato virale mostra che già viene usata spensieratamente dai residenti per svagare un po’ mentre all’interno, poco distante, esplodono le bombe israeliane…). Ma le decine di migliaia di morti (molti donne e bambini) non sono bastate a saziare la fame di vendetta, né parimenti a sgominare Hamas, che invece si dimostra così radicato nel territorio da sembrare un tutt’uno con la gente. E’ questo, infatti, un elemento sul quale il leader israeliano costruisce la sua giustificazione nel continuare a mietere vittime, senza alcun freno e senza pietà.
I due impenitenti “guerrafondai” – poiché ormai non si può assegnare loro altro titolo – agiscono in contesti certamente differenti: l’uno, provocato dalla strage del 7 ottobre, intende perseguire fino in fondo, a tutti i costi, il disegno di eliminare una formazione terroristica; l’altro, spinto soprattutto dalla volontà di potenza e di sopraffazione (poggiandosi in qualche modo sul malcontento dei filorussi delle regioni), tenta di schiacciare e soggiogare un intero popolo che sta difendendo la propria libertà. Per ambedue comunque non sembrano più esserci limiti e la situazione umanitaria (qui, ma anche altrove), sempre più intollerabile per una popolazione ridotta allo stremo in Palestina, diventata essa stessa ostaggio dei terroristi e obiettivo degli invasori, e per un popolo prostrato da oltre tre anni di guerra in Ucraina, che vede purtroppo sfilarsi anche alcuni dei suoi sostenitori, imporrebbe a tutti una mobilitazione più decisa ed efficace. Ma quale? Ma come? Ma quando? Certo non con i silenzi e le connivenze; poco anche con i proclami e le minacce… A quanto pare, ben poco anche con i tentativi diplomatici, snobbati dai due leader. Anche le organizzazioni internazionali (pensiamo ad esempio all’ONU o alla Corte penale internazionale, con le loro “armi” spuntate) si rivelano impotenti. Servirebbe una mano dall’alto a toccare quei cuori impietriti…

