“Noi panamensi abbiamo dimostrato la nostra capacità di gestire e mantenere la neutralità del Canale di Panama, aperto al mondo”. Un programma chiaro, per il passato, il presente e il futuro, secondo l’arcivescovo di Panama e presidente della Conferenza episcopale panamense, mons. José Domingo Ulloa Mendieta, che, contattato dal Sir, si esprime, nei giorni del suo insediamento alla Casa Bianca, sulle recenti e reiterate dichiarazioni del rieletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Quest’ultimo ha affermato nelle scorse settimane: “Siamo stati derubati per il Canale di Panama come siamo stati derubati ovunque”. E non ha escluso l’uso della forza per “riprendersi” il Canale costruito dagli americani tra il 1907 e il 1914, inaugurato nel 1920, “restituito” pienamente a Panama nel 1999, in ottemperanza ai trattati Torrijos-Carter del 1977. “Ne abbiamo bisogno per la sicurezza economica. È stato costruito per i nostri militari”, ha spiegato ancora Trump.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)
Una storia “a doppio filo” e l’irruzione cinese. Come si evince dalla storia, il legame tra gli Stati Uniti e il Canale di Panama è evidente. La stessa nascita della Repubblica di Panama, che nel 1903 si separò dalla Colombia in seguito a una breve rivolta, fu favorita e protetta dagli statunitensi, che sono intervenuti l’ultima volta militarmente nel continente, nel 1989, proprio nel Paese centroamericano, per rimuovere dal potere il generale e dittatore Manuel Noriega. Panama, divenuta “padrona” del Canale, ha affidato la gestione dei porti d’ingresso, Cristóbal sul lato atlantico e Balboa sul Pacifico, a una sussidiaria di Hutchison Whampoa, compagnia con sede a Hong Kong, città che oggi è saldamente sotto il controllo cinese. E tutto questo nonostante tre navi su quattro tra quelle che passano per il Canale provengano da porti statunitensi o vi siano dirette. In ogni caso, i trattati internazionali parlano chiaro, e ha avuto buon gioco il presidente José Raúl Mulino ad affermare che la sovranità sul Canale “non è negoziabile”. Peraltro, il governo panamense non ha esasperato i toni, attendendo l’ingresso di Trump alla Casa Bianca.
Ulloa: “Eredità da mantenere”. In tale contesto, l’arcivescovo Ulloa unisce la sua voce a quella dei connazionali e afferma: “È preoccupante che siano state rese pubbliche espressioni che cercano di attaccare la nostra sovranità, ignorando la lotta e il sacrificio generazionale che ha permesso a noi panamensi di sventolare un’unica bandiera su tutto il territorio nazionale. Il presidente Usa Jimmy Carter, insieme al generale Omar Torrijos, ha firmato un trattato tra Panama e gli Stati Uniti che ci ha restituito la sovranità sull’intero territorio nazionale. Questa eredità deve essere mantenuta e rispettata da tutte le parti. Dichiarazioni come queste dovrebbero essere un motivo per trasformare la forza del nostro amore per Panama in unità e impegno, abbattendo muri di odio e rancore e costruendo ponti di pace e giustizia”. La speranza, comunque, è che Panama non finisca per trovarsi al centro di un “fuoco incrociato” tra Stati Uniti e Cina. “Non siamo specialisti di relazioni internazionali – continua l’arcivescovo –, ma, sempre alla luce del Vangelo, abbiamo fede e speranza in Gesù, al quale rivolgiamo la nostra preghiera affinché prevalgano il buon senso e la pace. Non è la prima volta che ci troviamo in circostanze simili, ma Panama è rimasta libera e sovrana, in tutto il suo territorio, compreso il suo Canale. Quest’ultimo è il simbolo della riaffermazione della nostra nazionalità. Il sogno di essere uno Stato libero e sovrano. E questo grazie alla lotta generazionale di un popolo, in cui i nostri giovani si sono distinti”. Da qui il duplice appello alle autorità del Paese e a quelle internazionali:
“Alle nostre istituzioni chiedo di rendere reale ed effettiva la nostra sovranità: con la coltivazione di un sincero amore per la patria, con il consolidamento della nostra cultura, con l’integrazione delle aree restituite, dando loro il massimo uso sociale, e la gestione autonoma del Canale. Gli altri Stati, dal canto loro, devono rispettare la sovranità di Panama in tutto il suo territorio. Noi panamensi abbiamo dimostrato la nostra capacità di gestire e mantenere la neutralità del Canale di Panama, aperto al mondo”.
Incertezze sul futuro e la ricerca di alternative. Parlare oggi del Canale di Panama, però, significa anche fare riferimento alla crisi di questi anni, che rischia di diventare strutturale in futuro. L’arrivo della corrente del Niño, con la conseguente siccità, ha messo in forte difficoltà, durante il 2023 e l’inizio del 2024, l’operatività del Canale. La portata del lago artificiale di Gatún, il bacino idrico posto nel corso della tratta, lunga complessivamente 81 chilometri, si è fortemente ridotta. Il flusso delle imbarcazioni si era ridotto di oltre un terzo, passando mediamente da 38 a 24 al giorno. Nell’ultimo anno, con il ritorno dell’opposta corrente della Niña, le cose sono migliorate, ma il futuro è incerto, e anche per questo non mancano progetti, peraltro fortemente impattanti, con la previsione di un nuovo lago artificiale per aumentare la portata d’acqua lungo il passaggio tra i due oceani. Ma le incertezze, le nuove esigenze dei commerci intercontinentali, gli scenari geopolitici e i “giochi” delle superpotenze, già da molti anni, hanno fatto guardare a possibili “alternative” a Panama, oltre a quella tra Canada e Groenlandia, che si è “aperta” a causa del cambiamento climatico.
L’unico progetto attualmente sul tavolo, peraltro non facile da realizzare, è quello proposto dai cinesi all’autocrate del Nicaragua, Daniel Ortega. Meglio sarebbe parlare di progetti, visto che una prima ipotesi, a lungo cullata, è stata definitivamente abbandonata, e che lo scorso novembre Ortega ha presentato un nuovo studio per un passaggio da Bluefields, sull’Atlantico, a Puerto Corinto, sul Pacifico, passando per il lago Xolotlán, sul quale si affaccia la capitale, Managua, invece che per il più ampio lago Cocibolca, come nel primo progetto.
Il passaggio sarebbe, in ogni caso, molto più lungo rispetto a Panama: in tutto 445 chilometri. Un altro punto nel quale i due oceani sono molto vicini si trova nel sud del Messico, in corrispondenza dell’istmo di Tehuantepec, negli Stati di Oaxaca e Veracruz. In questo caso, nessuno ha pensato a una via d’acqua, ma sono invece in via di avanzamento i lavori per una forte infrastrutturazione della zona, con il rafforzamento dei porti di Salina Cruz e Coatzacoalcos e con la creazione di un corridoio stradale e, soprattutto, ferroviario. Su una scelta simile, ancora a livello preliminare, punta la Costa Rica, con il cosiddetto “Canal seco”. Anche la Colombia, lo scorso anno, ha lanciato l’idea di un collegamento ferroviario tra i due oceani nella zona del Darién, poco a sud del Canale di Panama. In una zona, però, dove al momento passano soprattutto carovane di migranti, trafficanti e gruppi armati.

