Pasqua in Terra Santa. Card. Pizzaballa (patriarca): “Oggi è più necessario che mai celebrare il passaggio dalla morte alla vita”

"Siamo tutti impotenti di fronte a questa continua escalation di odio" dice al Sir il patriarca di Gerusalemme, card. Pizzaballa che ammette: "è una Pasqua certamente difficile, di basso profilo, con pochissimi pellegrini, o forse nessuno. Comunque - ribadisce - facciamo la Pasqua perché anche noi vogliamo celebrare questo passaggio dalla morte alla vita. Oggi è più necessario che mai"

Santo Sepolcro, Gerusalemme (Foto Sir)

“Invito i pellegrini a tornare in Terra Santa. Capisco che c’è paura, che le immagini che arrivano dai media spaventano, ma penso che oggi pellegrinare in Terra Santa sia possibile e che sarebbe una forma bella e concreta di aiuto alla Chiesa di Gerusalemme”.

foto SIR/Marco Calvarese

È l’appello del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, ribadito al Sir alla vigilia della Pasqua che la comunità cristiana locale si appresta a vivere ‘sottotono’ a causa della sanguinosa guerra a Gaza, scoppiata dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre scorso di Hamas ad Israele. Le stradine della città vecchia sono deserte, non si vedono i numerosi gruppi di pellegrini che in questo periodo sono soliti affollare i luoghi santi della passione e il Santo Sepolcro. Le restrizioni imposte dalle autorità israeliane tengono lontani da Gerusalemme anche i cristiani della Cisgiordania. Pochi i visti concessi per venire a pregare in città.

Eminenza, sono passati sei mesi dallo scoppio della guerra che ha provocato sino ad ora decine di migliaia di morti e feriti, moltissimi dei quali sono bambini, interi quartieri di Gaza distrutti e 136 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas. È possibile fermare questa guerra?
Siamo tutti impotenti di fronte a questa continua escalation di odio.

Io credo che la leadership politica, e forse anche quella religiosa, debbano alzare la voce e soprattutto debbano avere il coraggio di guardare alla realtà del territorio che è drammatica.

Solo così sarà possibile capire che continuare con queste azioni belliche vuole dire solo esasperare la situazione e non risolverla.

(Foto AFP/SIR)

A Gaza è in atto un’emergenza umanitaria con la popolazione civile a rischio carestia. Ci sono bambini che stanno morendo di fame mentre i convogli umanitari restano fermi a Rafah, lato egiziano, in attesa di entrare. Perché?
Lo abbiamo ripetuto molte volte anche noi: la prima cosa è il cessate il fuoco, necessario per riprendere le attività di aiuto umanitario che sono indispensabili la cui assenza sta portando a una situazione mai vista in precedenza. Non è la prima volta che abbiamo la guerra qui ma è la prima volta che vediamo la fame che non c’è mai stata in questo paese. Questo dice la drammaticità della situazione in atto.

La fame è diventata uno strumento di guerra?
Non lo so, sono situazioni complicate. Credo che le responsabilità siano diverse e tante, ma è fuori discussione che la situazione è intollerabile, inaccettabile.

Perché la comunità internazionale non riesce a fermare questa guerra?
Tutti vogliono fare qualcosa ma è evidente che la comunità internazionale è impotente. Non puoi fare molto se gli attori locali non collaborano. Io penso che, al momento, questo sia il vero problema.

Si è parlato di una possibile mediazione della Santa Sede in questo conflitto, potrebbe essere una strada praticabile?
La Chiesa non deve entrare troppo dentro le complesse questioni pratiche di mediazione. Certamente è coinvolta nel facilitare, nel rendere più accessibili e abbordabili, le relazioni tra le varie parti. Credo sia questo il nostro ruolo: cercare di mantenere il minimo di connessione, di comunicazione e di fiducia tra le parti.

Come sono i rapporti della Chiesa con i due belligeranti? In queste situazioni accade che si venga ‘arruolati’ dall’una o dall’altra parte, salvo poi essere criticati per qualche presa di posizione ritenuta non favorevole…
In questo momento il rapporto tra leadership religiose e istituzionali vive una fase di attesa, di sospensione. Ci si incontra tra leader locali, in privato, per discutere, per parlare ma a livello istituzionale non c’è nulla. Diciamo anche che ci sono un po’ di tensioni. Quelle tra la Chiesa e il mondo ebraico sembrano essersi allentate un po’. La tensione tra ebrei e musulmani resta altissima.

Non vede un negoziato all’orizzonte?
Parlare di pace e di negoziato adesso è presto. Ora serve subito un cessate il fuoco.

Il negoziato riprenderà quando ci saranno nuove leadership credibili

e si verificheranno le condizioni, che devono essere create, per un minimo di fiducia e di prospettiva. I tempi sono necessariamente molto lunghi e per ora non si esce da questa situazione così come non si tornerà alla situazione di prima. Quello che sarà ancora non è chiaro.

Dopo quanto accaduto, pensa che la soluzione ‘Due popoli, due Stati’ sia ancora valida e praticabile?
Se non è questa la soluzione, allora mi si dica qual è l’alternativa.

Ritiene che dalla società civile palestinese e israeliana possano arrivare spinte verso la convivenza e il dialogo?
Ora non ha senso parlare di questo. Siamo nella fase del dolore e della rabbia. Bisogna cessare le ostilità e lasciare che il tempo smorzi la tensione.

Ma parallelamente a questo servirà un’azione forte di ricostruzione della fiducia e di guarigione delle ferite che richiederà tempi lunghi. Non si tornerà alla situazione di prima come se nulla fosse.

Gaza, cristiani in preghiera (Foto N. Saleh)

A Gaza resiste la piccola comunità cristiana, meno di 1000 fedeli tra ortodossi e cattolici, che ha trovato rifugio nella parrocchia latina della Sacra Famiglia e in quella greco ortodossa di san Porfirio…
I cristiani di Gaza stanno dando una grande testimonianza di fede vissuta, di unità e soprattutto di grande fiducia che è una delle grandi assenti di questa guerra. Fiducia nell’opera della Chiesa e nell’aiuto reciproco. Si tratta di un piccolo gregge che soffre come tutti ma che non si arrende al disfattismo, alla frustrazione e all’odio. Papa Francesco è in contatto continuo con il vicario parrocchiale, padre Youssef Asaad, e mostra grande sensibilità verso il dolore di questa piccola comunità che vive dentro una ferita che tocca la vita di tutto il mondo.

Davanti a quanto sta accadendo ha ancora senso parlare di Pasqua in questa Terra dove la ‘Passione’ sembra sempre prevalere sulla Pasqua…
Pasqua ha sempre senso. La Pasqua è sempre difficile perché il messaggio che porta in sé non è così semplice e immediato. La vocazione della chiesa di Gerusalemme, così come quella di tutte le chiese sparse nel mondo, è quella di

vivere nella luce del Risorto nonostante tutto.

È una Pasqua certamente difficile, di basso profilo, ci sono pochissimi pellegrini, o forse nessuno. Comunque facciamo la Pasqua perché vogliamo celebrare questo passaggio dalla morte alla vita. Oggi è più necessario che mai.

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