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Guerra del grano: le “concessioni” di Putin e il Nord Africa come “grande perdente”

Il pane in Centrafrica è un lusso riservato agli occidentali: la gente comune è troppo povera per mangiarlo. La guerra in Ucraina, la sospensione della Black Sea grain initiative e l’aumento dei prezzi dei generi alimentari peggioreranno le condizioni dei già poveri. A rimetterci sarà soprattutto il Nord del continente africano – Egitto, Algeria, Tunisia in primis – e il misero Corno d’Africa, con il Sudan e la Somalia che soffrono già terribilmente per guerre e siccità

(Foto ANSA/SIR)

Un’elargizione gratuita di 50mila tonnellate di grano, dirette in sei Paesi africani “amici”: Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea. È l’annuncio di Vladimir Putin per l’Africa, dopo la sospensione della Black Sea Grain Initiative, accordo che consentiva alle navi provenienti dall’Ucraina un passaggio sicuro verso il Sud. Putin lo ha annunciato in apertura del summit Russia-Africa, in corso a San Pietroburgo. Restano però fuori da questa “elargizione” molti Paesi del Nord Africa e del Corno d’Africa, Egitto in primis. Soprattutto resta l’incognita sul futuro di gran parte del continente africano che dipendeva all’80% dall’Ucraina per gli approvvigionamenti alimentari.

Un filone di pane in Repubblica Centrafricana è un lusso: pochissime persone nella capitale Bangui possono permettersi di comprarlo. “Sapete quanto costa questo pane?”, chiede suor Elvira Tutolo delle missionarie di santa Giovanna Antida Thouret, inviandoci la foto di una baguette via whatsapp. “Un euro e sessanta!”. Il pane in Centrafrica è per gli occidentali: la gente comune è troppo povera per mangiarlo e le abitudini alimentari sono completamente diverse. Si mangia il fufu, una polenta preparata con la farina di manioca e il mais e si consuma molta verdura. “La manioca è la base dell’alimentazione africana: si mescola con la farina di frumento”, spiega don Giovanni Piumatti, per anni nel Kivu, in Repubblica Democratica del Congo. “Tuttavia il grano, fin dai tempi biblici, è prezioso per l’Egitto, il Medio Oriente e tutto il Nord Africa”, dice il fidei donum.

La guerra in Ucraina, la sospensione della Black Sea Grain Initiative e l’aumento dei prezzi dei generi alimentari peggioreranno le condizioni dei già poveri. A rimetterci sarà soprattutto il Nord del continente africano – Egitto, Algeria, Tunisia in primis – e il misero Corno d’Africa, con il Sudan e la Somalia che soffrono già terribilmente per guerre e siccità.
“L’Africa è il grande perdente di questa crisi”, dicono i nostri missionari. “Quando vai al mercato e vedi i prezzi raddoppiati, non solo quelli della farina, allora cominci a piangere…”, confida fratel Riccardo Racca, missionario in Sierra Leone. “Sì, anche qui la crisi del grano si fa sentire, soprattutto sui prezzi della farina: un sacco da 50 kg è passato in meno di tre mesi da 30 a 60 euro. E considerate che 60 euro corrisponde ad un salario medio mensile per i fortunati che hanno un lavoro fisso – spiega – Il prezzo del pane è raddoppiato e così molti generi alimentari di prima necessità”.

Anna Insogna, comboniana a Nampula in Mozambico, racconta: “Per ora non stiamo percependo molta differenza rispetto ai mesi scorsi, ma alcuni mesi fa c’è stato un improvviso calo e non si trovava più farina al mercato”.

Il collasso della Black Sea grain initiative (con il niet della Russia alle esportazioni di grano dall’Ucraina) riguarderà solo marginalmente l’Africa Subsahariana ma avrà “conseguenze importanti sulla sicurezza alimentare della parte più sofferente del continente”. Questo prevede padre Jorge Alberto Bender, francescano e agricoltore in Mozambico. L’accordo sul grano era stato negoziato dalla Turchia e dalle Nazioni Unite a luglio del 2022 per consentire alle navi che trasportavano fertilizzanti e prodotti agricoli di lasciare i porti ucraini, passando attraverso rotte sicure, fino allo stretto del Bosforo. Era stato così possibile far arrivare dall’Ucraina 32,8 milioni di tonnellate di mais e grano. Oltre la metà diretto nei Paesi in via di sviluppo, anche sotto forma di donazioni da parte del World Food Programme, che ne aveva ricevute 313 tonnellate destinate ad Etiopia, Kenya e Somalia. La Somalia ha ricevuto 84mila tonnellate di grano nel 2022, rispetto alle 31mila del 2021. Nel Paese fallito, minacciato da Al Shabab, braccio armato delle Corti islamiche, gli aiuti alimentari sono tutto.
“Il blocco si farà sentire purtroppo in Somalia, che importava già prima della guerra il 90% del grano da Russia e Ucraina, ed è un Paese già devastato dal conflitto e dalla siccità”, prevede padre Jorge Bender. Il missionario di origini argentine è tra i promotori di una fazenda agricola senza padroni nella savana mozambicana.

Somalia, Etiopia e Kenya, dice padre Jorge, stanno già affrontando la peggiore siccità degli ultimi decenni nel Corno d’Africa. Inoltre, secondo i dati divulgati dal Global agricultural information network (Gain), in Egitto si prevede un aumento delle importazioni di grano del 2,9% dovuto ad un incremento della popolazione: da dove far arrivare tutto il necessario se non da Ucraina e Russia?

“Per ridurre la dipendenza dal grano importato, alcuni paesi africani hanno deciso di coltivarne di più ed essere meno dipendenti dalle importazioni – dice ancora padre Jorge – Nello Zimbabwe ad esempio, il governo ha collaborato con il settore privato e ha convinto i proprietari di aziende agricole e gli investitori a coltivare più grano”. Ma questa è un’eccezione. E non riguarda di certo il Corno d’Africa con l’assenza totale di imprenditori privati.
“Non so cosa succederà con la sospensione della Black Sea grain initiative e non so se la Russia da sola sostituirà l’Ucraina nell’export di grano – argomenta Fra’ Ettore Marangi, missionario francescano a Nairobi – so però che sta succedendo qualcosa di gravissimo da noi in Kenya: la moneta è in caduta libera. Ci sono continue manifestazioni di protesta e in alcuni posti le auto sono sparite dalla circolazione per il caro carburanti; l’inflazione del mondo occidentale sta colpendo l’Africa. Da quando sono qui, ossia da dieci anni a questa parte, questo mi pare il momento peggiore”.

(*) Popoli e Missione

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