Afghanistan. Lo scrittore Gholam Najafi da Herat: “La voce legata ad un filo”

Si intitola “La voce legata a un filo”, il primo dei reportage, che verranno – da oggi e nelle prossime settimane - pubblicati dal Sir, con i quali lo scrittore afghano, Gholam Najafi, racconta il viaggio, da poco intrapreso, nel suo Paese natale dove è ritornato con il sogno di costruire una scuola per i bambini nei pressi di Herat. Gholam Najafi è autore di tre libri “Il mio Afghanistan”, “Il tappeto afghano” e, l’ultimo – per adesso –, “Tra due famiglie” (Ed. La Meridiana)

Afghanistan, bambini a scuola (Foto: Gholam Najafi)

Proveniente dal piccolo villaggio di Khoshal Shirdagh, nella regione di Ghazni – dove viveva facendo il pastore e il contadino, Gholam Najafi fugge nel 2000 dall’Afghanistan a soli 10 anni, dopo l’uccisione del papà da parte dei talebani. In Italia arriva, a Marghera – nascosto sotto le assi di un Tir, in un giorno di pioggia – nel 2006, dopo sei anni trascorsi in cammino tra Pakistan, Iran, Turchia e Grecia. “Sono partito dall’Afghanistan – ricorda al Sir – praticamente analfabeta. Sapevo a malapena che avevo 16 anni, non conoscevo la mia data di nascita, non avendo mai avuto dei documenti nel mio Paese”. Gholam a 21 anni consegue il diploma di scuola media di 150 ore. Poi l’iscrizione alle Superiori, in uno istituto alberghiero, dove impara ad amare la letteratura, Dante, Pascoli, Leopardi, Pirandello, Primo Levi, Omero, Virgilio. Nel 2011 comincia a scrivere in Italiano. Tredici anni dopo la sua fuga, Najafi ritorna per la prima volta in Afghanistan. “Stavolta in aereo, non da clandestino – dice con orgoglio -. Con me il sogno di costruire una scuola, vicino Herat, per i bambini per abbattere muri e instaurare relazioni. Studiare significa conoscere e conoscersi. Ho già acquistato un terreno”.

(Herat) Oggi (12 ottobre 2022, ndr.), sono arrivato da poche ore ad Herat e il sole sta ormai tramontando. Ho appena bevuto del tè bollente e non più quel caffè amaro di ieri. Non sento ancora la stanchezza del lungo viaggio. Oggi pomeriggio, sono già stato nel bazar fra la gente che acquista vestiti caldi perché stanno per arrivare i giorni freddi. Qui ad Herat le anziane dicono che il freddo duri poco: solo 40 giorni e non più come prima 90 giorni all’anno.
Chi compra il cibo cammina silenziosamente, cerca e ricerca per trovare qualcosa che costi poco, mentre i commercianti urlano, gridano per far arrivare la loro voce a chi cammina fra un negozio e l’altro.
Ecco, avrei voluto tanto scrivere, prima del mio arrivo, come immaginavo sarebbe stata questa città oggi. È diversa la percezione da altre terre: le voci, i profumi, i costumi, i cambiamenti sono qui, qui vicino è tutt’altra cosa.
Qui a vedere che il tramonto di oggi si è insinuata fra le pieghe del velo della nuvola, così è da poco uscita anche la luna, ancor più timida nel mostrarsi ai nostri occhi.

Non so perché ma questa sera la mente va verso la mia infanzia, forse perché quando andavo con il mio gregge a quest’ora tornavo sempre a casa. La montagna di notte si riempiva di animali feroci e avvicinandomi a casa mi sentivo al sicuro accanto agli altri. Mentre in inverno diventavo uno studente. Non c’è alcuna testimonianza se ero un cattivo o un buono studente, con gli anni ho perso i contatti con i miei compagni di scuola e il maestro. Oggi parlo di questo passato perché la mia vita, appena mi sposto da un luogo all’altro, diventa il passato, assume la forma di cari ricordi. Pochi giorni fa sono partito dall’Italia con tanta angoscia portando con me dei libri, libri che mi dicevano non sono ben visti qui in Afghanistan, e allora strappavo alcune copertine dove erano dipinti teste delle donne senza velo, o copertine con una statua nuda come Madame Bovary. Oggi al confine fra l’Iran e l’Afghanistan l’agente delle dogane mi ha perfino chiesto scusa per aver toccato la mia valigia con dentro dei libri. Dunque l’Afghanistan come sempre va studiato diversamente e giudicato tale.

Oggi entrando in questa terra sono transitato da Islam Qala, (uno dei principali posti di confine tra Iran e Afghanistan, ndr.), così chiamato perché è pieno di piccoli castelli, quelli tipici dell’architettura di Herat, e mi godevo, quasi, una libertà che negli anni scorsi non vedevo intorno alla mia strada: nel 2021 si combatteva fra trincea e trincea. Ho visto tanto sangue, proprio in questi luoghi dove oggi ci sono dei piccoli cimiteri e monumenti per la storia. Ora queste trincee sono immerse nel silenzio. Luoghi costruiti dagli italiani: un anno fa questi posti erano pericolosi, e oggi che sono l’unico a sentirmi mezzo italiano, guardo quei muri abbandonati, crollati. Domani si sgretoleranno pian piano, lentamente sotto la pioggia, quando una nuvola nera da questo cielo arriverà…

Altri articoli in Mondo

Mondo