Morte Gorbaciov. Scaglione: “Era convinto che un mondo di pace e senza armi era possibile”

Il giornalista, corrispondente a Mosca per Famiglia Cristiana negli anni in cui l'ultimo segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica era al governo, lo ricorda al Sir: "Fu protagonista di una politica di distensione nei confronti dell'Occidente che diede tanti frutti"

(Foto: ANSA/Sir)

Nobel per la pace, presenza che ha dato un altro corso alla storia dell’Unione sovietica e dei rapporti con l’Occidente. Michail Gorbaciov è morto all’età di 91 anni. E di lui parla al Sir un giornalista italiano che, negli anni in cui il leader del partito comunista era al governo, si trovava a Mosca, corrispondente per Famiglia Cristiana. Si tratta di Fulvio Scaglione, che per tre volte ebbe occasione di incontrarlo.

Qual è stata l’importanza dell’azione politica di Gorbaciov?

Il suo ruolo è stato enorme, se pensiamo che la sua stagione politica è durata pochissimo, sei anni dall’85 al ’91. Volendo riformare l’Urss – perché non la voleva distruggere ma riformare -, aveva intuito che questa mission impossible poteva essere realizzata solo mettendo fine alla guerra fredda, che per l’Urss era un enorme spreco di risorse e, quindi, avviando una stagione di distensione nei confronti dell’Occidente. Quanto quella intuizione fosse produttiva lo vediamo proprio adesso. Quando in realtà i rapporti con l’occidente sono di nuovo tesi al massimo e non è solo ripartita la corsa agli armamenti internazionali ma si è anche richiuso il processo di riforma dell’economia in Russia, che di giorno in giorno si sta nuovamente statalizzando. Oggi il 40 per cento dei russi dipende per il proprio tenore di vita dall’intervento dello Stato.

Quel è stata la sua esperienza personale con Gorbaciov?

L’ho incontrato tre volte e devo dire che nel dialogo testa a testa sembrava molto meno brillante di quanto lo fosse la sua azione politica. Questo probabilmente perché alla fine era un prodotto del Partito e del Paese. Quello che resta a me e a chiunque abbia vissuto quegli anni è che ci abbia fatto credere che un mondo di pace e senza armi era possibile. Devo la mia esperienza di corrispondente da Mosca a lui perché Famiglia Cristiana poté aprire la sede a Mosca nel 1988 per il millesimo anniversario della cristianizzazione della Russia. Nel 1989 Gorbaciov incontrò Papa Woytjla: non era uno spot, ma una politica, una visione.

Sotto il suo governo, dunque, vi fu un’apertura alle religioni… 

Quello fu un periodo di straordinarie aperture, anche un po’ caotiche. L’Urss era un gigantesco esperimento e quindi ci furono anche degli errori e delle conseguenze impreviste. Ci sono stati dei risvolti poco piacevoli con politiche di proselitismo. In politica Gorbaciov era uno che spalancava le porte, ad esempio, al libero mercato. Fece nell’88 la legge sulle cooperative che, in pratica, reintroduceva la proprietà privata in Russia. Gorbaciov aprì anche alle religioni, all’Occidente, al multipartitismo. Fu eletto da un Parlamento che, a sua volta, era stato eletto democraticamente e da un sistema multipartitico. Una delle sue caratteristiche da ricordare è che rimase fedele ai principi con cui si è annunciato sulla scena politica: trasparenza, perestrojka, distensione. Lasciò crollare il muro di Berlino. Fu un politico fedele ai propri principi.

E proprio la perestrojka fu un complesso di riforme davvero significative per l’Unione sovietica in quegli anni…

Fu un intervento enorme. Gorbaciov seguiva l’esempio del suo mentore. All’interno del partito era appoggiato da Jurij Andropov, che era stato il capo del Kgb, divenuto poi il segretario generale del partito. Fu autore di una purga di funzionari, dopo avere capito che il regime sovietico era entrato in una crisi profondissima. Quando Gorbaciov arrivò al potere, proseguì su quella strada del cambiamento. Lui lo faceva dal punto di vista politico, l’ex capo del Kgb da poliziotto.

E nel rapporto con l’Occidente?

L’incidenza di Gorbaciov nel rapporto con l’Occidente fu profonda. Licenziò Andrei Gromyko, ministro degli Esteri da 28 anni. Al suo posto mise Eduard Shevardnadze, che era un riformatore. Agì anche sulla caduta del muro di Berlino, permettendo che fosse abbattuto e diventasse un residuo del passato. Tutto ciò rientra nell’ambito di quella politica di apertura e di distensione con l’Occidente che lui perseguiva non solo per convinzione personale ma perché riteneva che senza non fossero possibili le riforme che lui desiderava per l’Urss. Si rendeva conto che il Paese non poteva continuare a spendere per le bombe atomiche se desiderava fare vivere meglio i russi. Questa distensione in cui lui credeva era la strada per consentire le riforme nell’Urss.

Negli anni è rimasto anche un sentimento di astio nei confronti di Gorbaciov…

Vi è un sentimento di nostalgia verso un passato idealizzato che fa sorridere. Bisogna tenere conto di un fatto: molti russi detestano Gorbaciov ed Eltsin perché ritengono il primo l’assassino dell’Urss – perché l’ha svenduta all’Occidente – e il secondo perché le sue riforme economiche fecero soffrire molti russi. Però, resta il fatto che il presupposto di tutto questo è l’idealizzazione di una Urss che, nella sua fase finale, era in una crisi profondissima e difficilmente si sarebbe risollevata andando avanti con i riti dell’epoca di Brežnev.

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