Libano. P. Lutfi (Beirut): “Un anno dopo l’esplosione al porto ferita ancora sanguinante”

Il 4 agosto di un anno fa la doppia esplosione al porto di Beirut che provocò oltre 200 morti, più di 6 mila feriti e danni strutturali di svariati milioni di dollari. Il Sir ha raccolto la testimonianza di padre Firas Lutfi, francescano della Custodia di Terra Santa, guardiano della comunità dei frati di Beirut e ministro della Regione San Paolo (Giordania, Libano e Siria): “Dopo un anno la ferita aperta dall’esplosione nel porto di Beirut è aperta e sanguinante per tutti i libanesi e non solo per gli abitanti di Beirut". Le colpe della politica e la giustizia che ancora non arriva

Beirut

“Dopo un anno la ferita provocata dall’esplosione nel porto di Beirut è aperta e sanguinante per tutti i libanesi e non solo per gli abitanti di Beirut. I segni della distruzione sono ancora evidenti sulle strade, sulle case, negli ospedali, nelle scuole e in tutte quelle strutture che prima del 4 agosto erano in qualche modo vive”.

Dalla capitale libanese a parlare al Sir è padre Firas Lutfi, francescano della Custodia di Terra Santa, guardiano della comunità dei frati di Beirut e ministro della Regione San Paolo (Giordania, Libano e Siria). Il convento di San Giuseppe, dove risiede, e la chiesa annessa sempre aperta e da tutti conosciuta come ‘la chiesa santa’, situati nel quartiere cristiano di Gemmayzeh, furono investiti dall’esplosione del 4 agosto del 2020 nel porto di Beirut, distante circa 800 metri. L’onda d’urto provocò ingenti danni alla struttura rendendola completamente inagibile. “La crisi provocata dallo scoppio – spiega il francescano – si è aggiunta ad altre due precedenti, quella economico-finanziaria e della pandemia. Una combinazione di potenza distruttrice che ha portato il Libano sull’orlo del collasso”.

Paese al collasso. Oggi la popolazione libanese vive un’emergenza umanitaria “difficile da raccontare” anche per padre Lutfi: “La situazione peggiora ogni giorno di più. Si stima che circa

il 60% dei libanesi viva sotto la soglia di povertà.

Manca l’energia elettrica, erogata solo un’ora al giorno, scarseggiano acqua potabile e combustibili, le medicine sono introvabili. Se non ci sono farmaci non ci sono nemmeno cure. La mancanza di elettricità, necessaria agli ospedali, ha provocato anche la morte di bambini ricoverati in terapia intensiva. Manca anche l’ossigeno per fronteggiare l’avanzata della pandemia. La svalutazione della divisa libanese nei confronti del dollaro è disastrosa e fa lievitare i prezzi dei beni di prima necessità. Se prima per un dollaro ci volevano 1500 lire libanesi ora ce ne vogliono oltre 30mila. Chi guadagnava 1000 dollari ora ne prende circa 20. E con questa cifra cosa puoi comprare? Niente”.

(Foto: Ansa/Sir)

Accertare le responsabilità.  “Abbiamo un paese paralizzato in ogni ambito – afferma senza troppi giri di parole il religioso –. A distanza di un anno giustizia non è stata ancora fatta.

Non sappiamo se l’esplosione sia stata causata da un errore umano, se ci sia stato dolo o se si sia trattato solo di una tragica casualità.

Domande stringenti che chiamano in causa eventuali responsabilità che devono essere accertate perché le vittime e i loro familiari abbiano giustizia. Ricordiamo che i morti furono oltre 200, più di 6 mila i feriti e i danni provocati ammontano a svariati milioni di dollari. Nel totale caos politico libanese questa è un’altra ferita aperta”.

Un nuovo governo. Per questi motivi, aggiunge il frate, “é necessario fare tutto il possibile per far nascere un nuovo governo libanese magari entro il 4 agosto” come chiesto anche dal card. Béchara Boutros Raï, patriarca maronita. Qualcosa sembra muoversi: il presidente libanese, il cristiano Michel Aoun, nei giorni scorsi ha affidato l’incarico di formare un nuovo Esecutivo a Najib Mikati (uno degli uomini più ricchi del Paese con un patrimonio personale stimato in 2,7 miliardi di dollari, ndr,). Il Libano era senza guida da circa un anno, da quando l’ex premier Hassan Diab si era dimesso dopo l’esplosione nel porto della capitale. Un vuoto istituzionale che ha impedito, fino ad oggi, ogni riforma chiesta dalla Comunità internazionale per attivare il piano di salvataggio finanziario del Paese dei Cedri.

Crisi politica. “Questa crisi politica – rimarca padre Lutfi – è stata causata dagli stessi politici che 30 anni fa si combattevano con le armi. Dopo la firma degli Accordi di Tāʾif (negoziati alla fine del 1989 che posero le basi per la fine alla guerra civile in Libano sviluppatasi tra il 1975 e il 1990, ndr), hanno smesso di spararsi ma hanno portato ugualmente il Paese nel baratro. Come vediamo oggi. Sono i rappresentanti di quelle élite oligarchiche che hanno ereditato il potere facendo sprofondare i cinque milioni di libanesi nella disperazione e nella povertà. Il popolo è sceso in piazza, dall’ottobre del 2019, per manifestare contro la corruzione dilagante e l’incapacità di questi politici e governanti di traghettare il Paese fuori della crisi”.

“I libanesi sanno bene che finché resteranno in sella tali esponenti politici non ci sarà mai un rinnovamento totale e significativo. La gente vuole volti nuovi per coltivare nuove speranze. Si rinunci agli interessi particolari a vantaggio del bene comune”.

L’impegno della Custodia. La Chiesa e la Custodia di Terra Santa, intanto, continuano a dare aiuto a chi è più nel bisogno. “Recentemente – dichiara il francescano – abbiamo ricevuto la visita in Libano di padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa e del Discreto, padre Ibrahim Faltas. Abbiamo ricordato questo triste anniversario ma anche la ricostruzione del convento come segno di speranza per tutta Beirut. Sin dall’inizio della crisi il Custode ci ha esortato a non pensare a noi stessi ma di farci carico dei poveri intorno a noi e di aiutare le famiglie a ricostruire le loro case.

Grazie al sostegno di tante chiese, quella italiana in testa, riusciamo a donare pacchi viveri, medicine, materiale igienico in tutto il territorio libanese. Cerchiamo di dare anche assistenza psicologica ai traumatizzati. Si stima in 80mila il numero dei bambini traumatizzati dopo l’esplosione.

Senza dimenticare gli anziani e i giovani. Questi ultimi vanno aiutati a coltivare la speranza di rinnovamento per aiutare il Libano a rialzarsi”.

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