“Si chiude un anno non facile”. Il messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella dal Quirinale si apre con una constatazione che diventa subito chiave di lettura del presente. “La nostra aspettativa è anzitutto rivolta alla pace”, afferma il Capo dello Stato, evocando le immagini delle “abitazioni devastate dai bombardamenti nelle città ucraine” e della “devastazione di Gaza, dove neonati al freddo muoiono assiderati”. Di fronte a queste realtà, osserva, “il desiderio di pace è sempre più alto” e appare “sempre più incomprensibile e ripugnante il rifiuto di chi la nega perché si sente più forte”. La pace, chiarisce Mattarella, non è solo una condizione esterna: è “un modo di pensare”, quello “di vivere insieme agli altri, rispettandoli, senza pretendere di imporre loro la propria volontà”. Una definizione che sposta il discorso dal piano geopolitico a quello etico, chiamando in causa la responsabilità personale di ciascuno.
Disarmare le parole
Il Presidente richiama le parole di Leone XIV, che nei giorni di Natale ha esortato “a respingere l’odio, la violenza, la contrapposizione e praticare il dialogo, la pace, la riconciliazione”, richiamando alla necessità di disarmare le parole. Da qui l’affondo di Mattarella: “Se ogni circostanza diviene pretesto per violenti scontri verbali, per accuse reciproche, di cui non conta il fondamento ma soltanto la forza polemica, non si esprime una mentalità di pace, non se ne costruiscono le basi”. Una diagnosi che vale per la politica, per il dibattito pubblico, per la vita sociale. E che pone l’interrogativo: “Cosa posso fare io?”. La risposta passa dal rifiuto del “senso fatalistico di impotenza” e dal recupero di una coscienza civile che riconosca nella costruzione della pace un compito condiviso. Questo modo di pensare, sottolinea Mattarella, riguarda ogni livello: “Il modo di pensare, la mentalità, iniziano dalla vita quotidiana” e toccano “qualunque ambito: quello internazionale, quello interno ai singoli Stati, a ogni comunità, piccola o grande”. Il messaggio si sviluppa come un richiamo alla memoria storica, attraverso un album immaginario degli ottant’anni della Repubblica. Dal voto delle donne, segno dell’unità di popolo, alla stagione costituente, capace di trovare una sintesi di alto valore pur tra contrasti forti. La Repubblica, afferma il Presidente, è uno spartiacque: “Non uno Stato che sovrasta i cittadini ma uno Stato che riconosce i diritti inviolabili, la libertà delle persone”. Da qui il richiamo alle conquiste sociali: il lavoro, lo Statuto dei lavoratori, la sanità pubblica universale, il ruolo della cultura e del servizio pubblico. Mattarella non rimuove le ferite: le stragi, il terrorismo, la notte della Repubblica. Ma ricorda che l’Italia prevale perché le istituzioni si dimostrano più forti del terrore.
La Repubblica siamo noi
Guardando al futuro, Mattarella non nasconde le criticità: vecchie e nuove povertà, diseguaglianze, ingiustizie, corruzione, evasione fiscale, reati ambientali sono crepe che rischiano di compromettere la coesione sociale. Un bene che non è mai acquisito definitivamente, ma richiede l’impegno di tutti, “ognuno secondo il suo livello di responsabilità, senza che nessuno possa sentirsi esentato”. Perché “la Repubblica siamo noi. Ciascuno di noi”. L’appello finale è rivolto ai giovani: “Non rassegnatevi. Siate esigenti, coraggiosi. Scegliete il vostro futuro. Sentitevi responsabili come la generazione che, ottanta anni fa, costruì l’Italia moderna”. In un’epoca segnata dall’incertezza globale, dalle rivoluzioni tecnologiche, dai rischi ambientali e dalle guerre, Mattarella ribadisce che nessun ostacolo è più forte della democrazia. Ma a condizione che la democrazia non sia intesa come un patrimonio da custodire passivamente, bensì come un progetto da rilanciare nella responsabilità condivisa. È questo il messaggio che il Presidente affida all’anno nuovo: “L’affermazione della libertà, la costruzione della pace sono nell’atto fondativo della nostra Repubblica”. E come tali la pace, la libertà, la giustizia non sono conquiste scontate ma esigono l’impegno di ciascuno.

