Ha camminato otto ore con la famiglia tra le macerie di Gaza mentre intorno continuavano a cadere le bombe, spinto solo dalla speranza che ad attenderli ci fosse un aereo che li avrebbe portati in Italia. Una speranza che per il professor Ata M. Kaisy, 57enne accademico palestinese, si è infranta quando gli hanno detto che poteva sì partire, ma da solo. “Mi hanno dato solo due minuti per prendere la decisione più dura di tutta la mia vita. Restare o partire da solo, lasciando la mia famiglia nel bel mezzo dei bombardamenti senza sapere se li avrei più rivisti”. La scelta di partire arriva in seguito all’insistenza della moglie. “Mi ha detto ‘vai, sei la nostra unica speranza’”. Kaisy è arrivato a Roma poco più di due mesi fa, grazie al Bando di Ateneo di Solidarietà per la ricerca e la didattica, riservato a docenti provenienti da contesti di criticità economica o sociale, in particolare dalla Palestina. Insieme a lui, un collega e 18 studenti. Ieri sera, 14 dicembre, ha raccontato la sua storia durante l’incontro “Enough. Come si costruisce la pace oggi?” promosso dalla cappellania dell’università Sapienza. Enough, tradotto dall’inglese, significa basta. Imperativo più volte ripetuto da Kaisy. “Basta guerre. Stanno spendendo trilioni di dollari per fabbricare armi che distruggono edifici e producono morte – ha denunciato -. Perché non li usano per aiutare i poveri, non li investono nella ricerca, nei giovani e nel progresso per superare guerre, odio e fame?”. La moglie e i tre figli di 17, 15 e 8 anni hanno seguito l’incontro tramite una video chiamata. “Sono bellissimi – ha detto -. Sono vivi. Ogni mia decisione l’ho presa avendo i loro volti impressi nella mia mente”. Loro si trovano a Gaza, in un appartamento semidistrutto. L’università dove Kaisy insegnava (è docente nel Dipartimento di Salute Pubblica e direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologia) è stata completamente rasa al suolo ma lui continua a dare lezioni a distanza “attraverso whatsapp. È una mia responsabilità” ha affermato. Kaisy si è laureato in farmacia e ha conseguito un master in salute pubblica. Studi intrapresi per capire “perché alcune persone si ammalano e altre no – ha spiegato – Perché alcune comunità prosperano mentre altre vengono schiacciate. La risposta non sta nei medicinali. Sta nei sistemi, i muri, i confini, le decisioni prese da persone lontane su chi merita cure e chi no”. Sottolinea poi che prima di essere un farmacista e un professore è “un palestinese orgoglioso di esserlo”.
Mentre parla mostra le immagini di Gaza prima e dopo l’assedio della città da parte di Israele in risposta agli attacchi del 7 ottobre 2023. Dove c’erano le case ora c’è un cratere immenso, il quartiere dell’università è ridotto a un cumulo di macerie. E poi file interminabili di tende allagate dalla pioggia e scatti di studenti, compresi i suoi figli, che studiano seduti per terra, potente testimonianza di resilienza. Ha parlato della sua città, afflitta da decenni di restrizioni, violenze e difficoltà economiche. “Ma – ha specificato – è anche una città dove vivono famiglie forti e reti comunitarie, ha un alto valore dell’istruzione e una vivace vita culturale”. Da qui l’esortazione agli studenti presenti all’incontro ad impegnarsi perché “la fortuna favorisce solo le menti preparate” ha aggiunto citando Pasteur. Dall’inizio della guerra in Medio Oriente sono trascorsi più di due anni. “Oggi, ancora una volta, è tempo di dire basta” ha detto il vice cappellano don Claudio Tagliapietra che al termine dell’incontro ha presieduto la Messa internazionale. “Dio non c’entra nulla con tutto questo – ha detto -. Questa è ferocia umana. E quando la libertà umana diventa questo genere di orrore, Dio ha il cuore spezzato. Il cuore di un Padre che vede i suoi figli uccidersi a vicenda. Ogni volta che trattiamo la vita con disprezzo, perdiamo anche la nostra umanità. Per questo il mondo ha bisogni di scienza e di cultura. Sono espressioni della nostra umanità e l’unico tavolo attorno al quale si può costruire la pace”.

