“Per me entrare in un carcere è sempre un momento importante, perché il carcere è un luogo di grande umanità”. Le usò il 18 maggio 2024 queste parole Papa Francesco, incontrando i detenuti della casa circondariale di Montorio durante la sua visita pastorale a Verona. Un “varco” aperto e dedicato, in gran parte del suo Pontificato, a numerosi gesti di vicinanza verso il mondo carcerario, come la celebrazione del rito della lavanda dei piedi all’interno delle prigioni e l’apertura della Porta Santa a Rebibbia, evento mai accaduto prima. Da lì, da questa immensa eredità umana e spirituale è filtrata quella luce di speranza che ora Papa Leone XIV custodirà nell’imminente Giubileo dei detenuti scandito dall’Eucaristia, da testimonianze personali e sulla giustizia riparativa, da incontri di riflessione, animazione e confronto.
Al cuore, il vissuto di chi dietro le sbarre non smarrisce la fede e continua ad assaporare l’abbraccio con il Risorto. Lo racconta Damiano, che Gesù lo ha incontrato nella casa circondariale “Le Sughere” di Livorno. Deve scontare l’ergastolo, eppure, anche per via delle videochiamate che ora gli sono consentite con sua moglie Agata, riesce a portare il pesante giogo con docile affidamento a Dio. Nella corrispondenza epistolare che intrattiene con Giovanna, volontaria del Rinnovamento nello Spirito Santo che nell’istituto di pena svolge un servizio costante, emerge limpida la sua coscienza. Damiano, come ripercorre lei stessa, “era un uomo schivo e cupo”, che pian piano ha schiuso il cuore al kairos decidendo di partecipare al Seminario di Vita nuova proposto dal gruppo del RnS “Gesù e Maria” e culminata con la preghiera di Effusione ricevuta per mano del vescovo di Livorno Simone Giusti. Oggi è Damiano, da uomo rinnovato, “ad evangelizzare e dare sostegno alla sua famiglia”, ai suoi figli, pur conscio delle amarezze che la quotidianità in una cella può riservare. “Ringrazio il Signore di avermi concesso, nonostante il mio peccato, di attingere alla sorgente della salvezza – dichiara questo padre detenuto -, e di poter proclamare agli altri le meraviglie di Colui che mi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Dio è davvero dentro il mio cuore, lo è sempre stato e se io ho commesso degli errori è perché il diavolo tentatore mi aveva fatto allontanare da Lui. I miei occhi però si sono aperti, ho preso coscienza del mio fallimento: una consapevolezza assai dolorosa, tanto da pensare che mai avrei trovato la forza per rialzarmi. Mi sbagliavo però, dal momento che grazie a Dio, ai miei cari e quanti mi sono vicini, ho potuto sperimentare il dono del perdono. Certo non è stato facile, anzi non lo è: infatti a volte il senso di colpa prende il sopravvento, guai se non fosse così… Il mio cammino di fede, di ravvedimento e di riconciliazione tuttavia prosegue fedelmente e adesso ho contezza che in ogni circostanza, anche la più avversa, Dio è sempre con me”. Cita infine San Leonardo Murialdo, il sacerdote vicino a don Bosco, Damiano, senza mai dimenticare che “Dio mi ama. Che gioia! Che consolazione! Dio mi ama di amore eterno, personale, gratuito, infinito e misericordioso. Dio mi ama. Egli non si dimentica mai, mi segue e mi guida sempre. Lasciamoci amare da Dio!”. Oltre alla sua, sempre dal carcere toscano arriva l’eco delle voci di altri detenuti toccati dal soffio di quella speranza che, con l’aiuto dello Spirito, sempre può offrire occasioni di rinascita. Sono loro in prima persona a testimoniare di aver trascorso “momenti di grazia speciali in questo Anno giubilare, specialmente con l’apertura della Porta Santa. Il percorso formativo e di preghiera che abbiamo fatto con i fratelli del Rinnovamento ci ha permesso di comprendere che Gesù è amore, quindi anche nelle tribolazioni della vita, incluso il carcere, tutti noi abbiamo ritrovato la pace interiore perché dove c’è Dio non esistono muri, barriere, cattiverie, e anche in un posto buio come questo possiamo assaporare la luce e la gioia del Signore Gesù Cristo nostro salvatore”.
Chi poi la pietra dal sepolcro l’ha rotolata via definitivamente una manciata di settimane fa, dopo un calvario che ha lasciato il segno senza però scalfire la fiducia in un domani migliore, è Jean Paul. È lui stesso, per il Sir, a riannodare nella memoria il suo doloroso passato che ha ceduto il passa ad un nuovo futuro di una libertà che guarda a Dio. “La mia storia – dice – inizia ad Haiti, sono nato in una famiglia molto povera e a vent’anni decido di cercare fortuna in Europa. Una volta arrivato in Italia, non è stato facile procurarsi da vivere: nonostante il mio forte impegno e la dedizione alle più svariate attività di lavoro manuale, ho combattuto fra lo sfruttamento del caporalato e la costante tentazione di farmi coinvolgere in attività illecite. Il mio errore, ad un certo punto, è stato quello di scegliere la strada dei soldi facili con la droga”. Durante la sua esperienza carceraria, però, a poco a poco nelle giornate del giovane è entrata “una fiamma nuova di speranza attraverso la presenza del cappellano della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere e di un gruppo di detenuti di fede evangelica che, con perseveranza, si radunava in preghiera. Le tenebre comunque sono ritornate perché proprio lì, nel 2020, sono stato vittima del tragico pestaggio. Venni trasferito al carcere di Ariano Irpino, in provincia di Avellino, ma non sapevo da dove ricominciare. Eppure, pur ignorandolo, una luce ancora più luminosa stava per illuminare la mia esistenza”. Poco dopo essere arrivato nella casa circondariale “Pasquale Campanello”, difatti, “incontro i volontari del Rinnovamento che con cura animavano la celebrazione eucaristica settimanale e mi invitarono a prendere parte a ‘Il Viaggio del prigioniero’, che da lì a poco sarebbe stato avviato nell’istituto”. Si tratta di un programma internazionale avviato nel nostro Paese nel 2022 e promosso dalla realtà di Prison Fellowhip Italia e realizzato in collaborazione con il RnS, con lo scopo di trasformare non solo la vita dei detenuti ma anche il sistema carcerario. “L’affetto dei volontari e i momenti di spiritualità mi hanno letteralmente rapito – prosegue Jean Paul – e ho iniziato partecipare alla messa. Fu poi la volta del Seminario di Vita nuova, con cui ho ricevuto la preghiera per una nuova Effusione dello spirito. È stata una straordinaria esperienza di amicizia nella fede: quelli per me erano momenti di sollievo e di pace, che mi aiutavano ad affrontare tutta la settimana”. Poi, lo scorso settembre, “la tanto attesa notizia: finalmente il mio percorso con la rieducazione giudiziaria volgeva al termine. Sfortunatamente però, non essendo in possesso di un permesso di soggiorno, sono stato trasferito in un centro di permanenza in attesa di rimpatrio nella mia terra d’origine disposto dal giudice, non avendo un lavoro che avrebbe consentito di riconsiderare la sentenza. Attraverso l’impegno del cappellano e dei fratelli del Rinnovamento nello Spirito, la grazia non ha tardato a manifestarsi, con l’impiego in un’azienda agricola che si occupa di produzione di vino e olio. Oggi ringrazio il Signore perché non solo ha portato la viva speranza in me, ma mi sta concedendo una concreta opportunità di riscatto, grazie a quanti si sono prodigati per me e a chi, con coraggio, dà fiducia a chi come il sottoscritto molto spesso siede ai margini della società”.
Sempre dalla Campania, inoltre, arriva la storia del cinquantottenne Mario (adoperiamo un nome di fantasia, ndr) di Secondigliano, recluso da cinque anni e mezzo. “Quando ero piccolo – dice – sono stato nel collegio delle suore, ma la vera esperienza dell’incontro con Dio l’ho fatta solo di recente nel carcere di Ariano Irpino. Qui ho seguito il percorso ‘Il Viaggio del prigioniero’ che non solo mi ha fatto conoscere Gesù, ma mi ha aiutato a scoprire come Lui guarda alla nostra fragile umanità con misericordia e perdono. I volontari mi hanno invitato anche a prendere parte al Seminario di Vita nuova in cui ho assaporato la presenza dello Spirito Santo che, come un amico interiore, mi consola e mi dona coraggio. A conclusione di questo cammino di fede, ho ricevuto un ulteriore sigillo dello Spirito mediante il sacramento della Confermazione. Ciò che più conservo nell’animo di questa esperienza è l’affetto dei volontari del RnS che rappresenta per me la prova tangibile dell’amore del Padre”.
E, ad arricchire questo mosaico di ascolto e comprensione, misericordia e redenzione, dalla casa circondariale di Velletri, giungono infine proprio le parole di chi, come Silvia, impegnata da anni nel Rinnovamento, si è messa al servizio della delicata realtà della reclusione tramite il progetto di Prison Fellowship. “Mi viene in mente la Parola di Isaia (58,9-10) – racconta – per descrivere il mio ‘Eccomi’ alla chiamata di offrire il mio tempo nelle carceri, con una proposta che ci fa entrare e stare con chi è stato giudicato perché ha commesso qualcosa. Anche io ero convinta di giudicare e invece, attraverso questo percorso strutturato in otto tappe, tutte le settimane entravamo per incontrare quindici uomini desiderosi di scoprire Gesù, nella sua umanità e missione. Sono loro, in realtà, che ci hanno permesso di conoscere Cristo. Abbiamo riempito la ‘valigia’ di sguardi profondi, di cuori in attesa di vedere la luce e di vite che cercano una speranza di salvezza. La stretta di mano con cui alla fine ci siamo salutati è stato il segno di un legame che mai più si scioglierà. Nei pensieri e nelle preghiere di quei carcerati, che porto nel cuore, ho visto il volto di Gesù”. È a loro, di fatto, che Bergoglio consegnò la “chiave” di accompagnamento più importante: “Non cadiamo nella tentazione di pensare di non poter essere perdonati. Qualunque cosa, piccola o grande, il cuore ci rimproveri, ‘Dio è più grande del nostro cuore’ (1 Gv 3,20)”.

